A Forlì in treno per visitare la Mostra
"Fiori" al Complesso San Domenico di Forlì.
http://www.mostrafiori.com/italiano.html
Scarsa partecipazione: Sandro, Cat, Laura, Pattarin.
Pranzo alla Trattoria " Taverna degli Artisti"
Corso Garibaldi 104/106 a Forli') tel/fax
0543-421525
Il diario di Laura
Mercoledì 10 febbraio 2010-02-10
Destinazione Mostra “ Fiori “ di Forlì
Partecipanti Cate, Sandro, Patti, Laura. Sì, tutti qui, perché il bollettino dei caduti si sta
allungando a dismisura: Carla è caduta in senso proprio, gli altri in senso figurato
Mi alzo, guardo fuori e vedo
che sta nevicando, e in terra c’è già un sottile velo bianco. Alle nove e un
quarto nell’atrio della stazione. Vedo che siamo due donne e due uomini, che
cosa si potrebbe fare? ….. no, non mi viene in mente niente, e quindi dico agli
altri di affrettarsi al binario 7. Pochi km dopo Bologna la neve non c’è quasi
più, ma quando arriviamo a Forlì sta venendo giù una sgradevolissima pioggia
gelata che studia da neve, o viceversa, e continuerà così per tutto il giorno.
Meglio prendere l’autobus. Saliamo, informiamo il guidatore che siamo senza
biglietto e lui dice che ce lo farà, ma poi è così indaffarato che se ne
dimentica, e noi scendiamo senza aver pagato. Pazienza.
La mostra si trova nella pinacoteca civica. Alla cassa io e Patti
prendiamo due biglietti con sconto per ultrasessantacinquenni e poi vediamo che
Cate e Sandro , con la carta Coop, pagano lo stesso prezzo.
Tanta fatica e tanta attesa per raggiungere i 65 anni e pagare di meno, e
invece bastava iscriversi alla Coop.
La mostra ruota attorno a una piccola natura morta che raffigura due iris e
alcuni gigli selvatici, sistemati in una fiasca rotta e spagliata. Il quadro,
una delle nature morte più belle del Seicento italiano, paragonabile alla
celeberrima cesta di frutta del Caravaggio, attende ancora un’attribuzione
certa, ma è bellissima lo stesso. E adesso trascrivo per sommi capi l’articolo
sulla mostra scritto da Barbara Briganti, così vi fate una cultura, che non vi
vedo mai con un libro in mano... Se in Europa già alla fine del 500 paesaggi e
nature morte avevano conquistato uno status e un buon mercato, in Italia
predominavano i pittori di figura, che valevano di più perché sapevano educare e
raccontare storie edificanti. Ma Caravaggio e i “ pittori del vero “ pensavano
che non ci fosse differenza di mestiere e di fatica fra il dipingere figure
oppure fiori e frutta, riuscendo a rappresentarne le qualità tattili e
luministiche, il vellutato dei petali e la putrescenza delle foglie. E dopo
Caravaggio il dettaglio con oggetti inanimati, reso intrigante dalla luce e
dalla materia, divenne parte integrante dei quadri con figure. Intanto il secolo
della speculazione metafisica trovava nel fiore il simbolo ideale della vanitas,
il concetto della superfluità e della caducità dei beni terreni che ossessionava
Riforma e Controriforma. Nei quadri i fiori sbocciarono e appassirono quindi in
mano a Maddalene penitenti, tra teschi e candele gocciolanti, si sfaldarono tra
gli oggetti, le carte da gioco, gli strumenti musicali e le scintillanti
oreficerie, collegate al lusso e al vano godimento della vita. Fiori, per la
precisione tulipani, diventarono il simbolo dei pericoli derivanti dall’avidità
e alla speculazione selvaggia. ( Verso la metà dei Seicento l’Olanda fu
quasi messa in ginocchio da giochi di borsa alimentati dai bulbi di tulipano ).
La corsa contro il tempo necessario a ritrarre un fiore così rapidamente
deperibile diventò una sorta di stimolo che fece sì che veniva ignorata, nella
ricerca di una perfezione pittorica, la verosimiglianza legata alle stagioni.
Nei mazzi e nelle ghirlande, divenute spropositate e fastose macchine barocche,
si sfaldano contemporaneamente rose e crisantemi, anemoni e gigli, nel totale
sprezzo della verità botanica.
Il Seicento fu anche il secolo della nascita della ricerca scientifica e
dell’ambizione di catalogare la natura. E parallelamente agli artisti, i pittori
botanici ritrassero piante, foglie, fiori e semi con scopi utilitari ma con
risultati spesso straordinariamente creativi. A questo periodo fecondo segue un
secolo di maniera. Nel Settecento i fiori dipinti – ma anche le conchiglie,
insetti, radici e rocce –diventano mera decorazione. Invece per i pittori del
pragmatico e borghese Ottocento il ritratto, la scena di genere e anche la
pittura di fiori rappresentano ancora un omaggio e uno sguardo rivolto al secolo
del barocco , con risultati festosi e straripanti nelle complesse composizioni
storicizzanti dei cultori delle epoche classiche o romanticamente medievali . I
fiori furono comunque ancora simboli che difficilmente si potevano eliminare.
Furono i moderni – dagli impressionisti in poi - a riportare il genere alle sue
nobili origini veriste. I pittori della luce, della sensazione immediata
troveranno nella pittura di fiori un soggetto mai banale. Sole sui petali,
carezza dell’ombra, trasparenze e opacità e soprattutto gradazioni di colore.
Non più simbolo, ma soggetto a pieno titolo, superfici morbide e madide da
studiare, dividere e ricomporre. E adesso che sono rimasta sola – perché
sicuramente nessuno avrà avuto la costanza di arrivare a leggere fino a questo
punto – potrei anche chiudere qui il diario. Invece dirò ancora che la mostra è
stata molto bella e che quando siamo usciti siamo andati alla Taverna degli
artisti , dove abbiamo mangiato del pesce ottimo a un prezzo ragionevole. Poi
abbiamo raggiunto a piedi la stazione, sfidando la pioggia gelida – o era neve ?
Sul piano artistico e gastronomico è stata una gran bella giornata.
tempo ottimo!!
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