1-4 aprile 2016 - Valmarecchia

1 -APRILE - GIRO CARPEGNA

2 - APRILE - PIETRACUTA - SAN LEO

3-APRILE - PENNABILLI E GIRO TONINO GUERRA

4 APRILE - SAN MARINO - GIRO DELLA RUPE

DIARIO DI LAURA

Quattro giorni in Valmarecchia  ( 1-4 aprile 2016 )

 

(  un andirivieni pazzesco di persone e macchine in                                                                              cui però tutti i tasselli si sono incastrati sempre alla perfezione )

 

 

Venerdì 1 aprile

 

Destinazione     Monte  Carpegna

Partecipanti       Iso, Miriam, Patrizia, Pino, Sandro

Durata               5 ore

 

Sandro, Iso, Patrizia e Miriam arrivano poco dopo le 10 a Villa Verucchio, caricano Pino e partono per il trekking al Monte Carpegna.

Isa, io, Patti e Anna Po arriviamo verso le quattro  del pomeriggio e veniamo accolti affettuosamente da Dani che ci assegna le camere  poi ci offre un ricco spuntino finito il quale partiamo per la visita a Verucchio. Arrivati là Dani, che ha portato  anche la sua macchina, torna indietro, per essere a casa quando più tardi arriveranno gli altri. Noi visitiamo il paese, che fu il nucleo del potere dei Malatesta, che vi si stabilirono nel XII secolo. Le origini di Verucchio sono però molto più remote, bisogna infatti risalire alla prima età del ferro quando, fra il IX e il VI secolo a.C. sorse qui una fiorente civiltà i cui ricchi reperti sono raccolti nel bel Museo archeologico. In epoca romana il centro abitato si spostò a valle, per usufruire delle vie di comunicazione e fu solo nell’alto medioevo che Verucchio riacquistò la sua antica importanza. Cominciamo la visita da Piazza Malatesta, bella, ariosa e acciottolata, dove si trovano la fontana della tartaruga e il monumento a Dante Alighieri ( Cosa c’entra Dante?, direte voi . A lui i verucchiesi vollero dimostrare la loro riconoscenza per aver parlato male di Mastin Vecchio – il fondatore della dinastia - nella Divina Commedia ). Raggiungiamo la Rocca del Sasso, che è una delle più antiche fortificazioni malatestiane e – così dice la guida - offre la vista dello splendido paesaggio della valle del Marecchia. Sì, la offrirebbe, se solo si potesse vedere attraverso la nebbia. E’ stata restaurata in modo splendido ed è tutta rallegrata da ciuffi  di fiori gialli spontanei che fanno un gran bell’effetto ma che stanno scalzando inesorabilmente i mattoni , come ci dice una signora del luogo. Visitiamo le torri, le prigioni , la Sala Magna e la terrazza panoramica ( si fa per dire, non si vede niente ). Si avvicina l’ora di chiusura e Patti si è attardato non si sa dove. Io lo chiamo inutilmente, anche al telefono . Resto ad aspettarlo, mentre le ragazze si avviano verso l’uscita e quando ricompare corriamo verso il cancello e lo troviamo chiuso. E adesso come facciamo, che è altissimo e sormontato da punte di ferro? Ma sentiamo ridacchiare da fuori, e sono le ragazze che hanno convinto il bigliettaio a farci uno scherzo. Ritorniamo al centro del paese e saliamo verso la Rocca di Passerello ( che però non si può visitare né vedere bene dall’esterno perché è in restauro ) oltrepassando vicoli e gradinate - col corrimano, tanto per farvi capire quanto sono erte. Alle sette e mezzo siamo lì nella piazza principale a cercare di individuare la strada più stretta d’Italia , quella che secondo la guida prima di imboccarla bisogna assicurarsi che non si resti imbottigliati senza possibilità di tornare indietro, quand’ecco che arrivano Maurizia e Titti, e quindi sospendiamo la ricerca. Poco dopo arrivano i nostri camminatori,  molto provati perché invece dei 450 m di dislivello hanno dovuto superarne più di 600 : all’inizio hanno trovato la strada interrotta e sono dovuti scendere di 200 metri. Anche Sandro confessa di essere sfatto. E’ la prima volta che glielo sento dire ed è bello venire a sapere che anche lui è un essere umano. Comunque sono tutti contenti di aver portato a termine qualcosa di memorabile. Mi chiedono di scrivere il diario della loro camminata per immortalare l’impresa. Siccome non mi sento all’altezza, vi do’ i dati che mi hanno fornito, così ve lo scrivete da soli: c’era un prato immenso pieno di fiori, c’erano macchie di neve, c’era un signore con un cane. Queste sono le informazioni, vedete voi se riuscite a scrivere qualcosa di buono. Andiamo a cena al ristorante Le Fratte dove un cameriere molto premuroso ma un po’ irritante ci servirà piatti locali buoni e a prezzo contenuto. Alle 11 tutti a casa – con noi da Dani vengono anche Sandro e Anna mentre le altre andranno a un agriturismo lì vicino, dove ci diranno poi di essersi trovate benissimo.

 

Sabato 2

 

Destinazione         S. Leo

Partecipanti          Anna Ch, Anna Po, Camilla, Carla, Giorgio, Iso, Laura, Lucia, Maurizia,Miriam

                             Paolo, Patrizia, Rita, Sandro, Titti

Durata                  4 ore per 450 metri di dislivello

 

Facciamo una ricca colazione e mentre aspettiamo che tutti arrivino da tutte le parti del mondo ( Bologna, Rimini, Cesena… ), Pino ci intrattiene in modo ameno dicendo che vorrebbe distillare l’odore di piedi ( che è legato agli ormoni e diminuisce di molto col passare degli anni ), in modo da dare l’impressione, spruzzandoselo, di essere ancora giovani e virili. Precisa poi che a lui le cavolate gli vengono spontanee di mattina, mentre nel resto della giornata si deve sforzare molto per inventarle. Alle nove e un quarto, quando sono arrivati tutti, partiamo. Raggiungiamo l’imboccatura del sentiero 95 e cominciamo a salire, ma la nebbia è arrivata prima di noi ed è già salita piovigginando in cima ai colli, lasciandoci una visibilità di pochissimi metri, appena sufficienti a vedere i tanti fiori che fanno ala al nostro passaggio. Beh, e la Romagna solatia ? Tutti si tirano su il cappuccio, tranne Anna P e io, che non l’abbiamo e dopo un po’ pare che siamo uscite dalla doccia: ci verranno sicuramente i reumatismi al cuoio capelluto. Proseguiamo fra balaustrate di nebbia su cui appoggiare la nostra malinconia : non si vede niente, ci toccherà di tornare un’altra volta... Sui bordi del sentiero ci sono tante belle ragnatele: ci sarà stato il raduno mondiale dei ragni, dice qualcuno. Ma come si saranno contattati? Tramite la rete, dice Pino. Sono ragni Cinquestelle, dice Sandro. Arriviamo al convento di S. Igne  dall’elegante chiostro duecentesco su colonnine a esagono. Una leggenda dice che S. Francesco, mentre attraversava questa terra in una notte di tregenda, fu salvato da una luce miracolosa e guidato in una capanna a pochi passi dalle mura della città. Inutile cercare il nome di questo beato nelle agiografie ufficiali, Igne sta per fuoco, come la fiammella luminosa che condusse S. Francesco al riparo. Riprendiamo il cammino e arriviamo finalmente in vista di S. Leo. Per descriverlo, la guida si lancia in voli pindarici: “ Bisogna pensare a un’enorme fiumana sotterranea di lastroni immensi, come zattere in balia dei flutti, trasportati dal Mar Tirreno fin qui e quindi, per loro stessa tensione, fratturati e frantumati in blocchi rocciosi e giganteschi scogli, alla fine arenati e conficcati su uno spesso cuscinetto d’argilla. Tutto ciò circa 35 milioni di anni fa. Ed ecco spiegate le strane cuspidi che svettano in più parti del Montefeltro, di cui S. Leo è la più scenografica. Dante osserva questa rupe nel 1306 e resta sgomento: “ Ma qui convien che l’om voli “ commenta non immaginando modi più semplici per accedervi “. Allora c’erano due pericolosi sentieri, ma per fortuna oggi c’è una strada asfaltata, che noi prendiamo dopo esserci rifiutati di arrampicarci sulla  roccia. Il borgo è tutto raccolto attorno a una piazza con la torre civica, i palazzi nobiliari, la pieve e il duomo.  Qui incontriamo Alba, Dani, Isa e Patti, che sono stai al Museo archeologico di Verucchio e ne raccontano meraviglie.. Ci sediamo in un bar a mangiare piadine ottime e a bere birra.. Finito di mangiare mi unisco ai non camminanti per salire alla Rocca in pullman , mentre gli altri ci arriveranno prendendo un comodo sentiero. Dice la guida: “ La fortezza fu spesso esaltata come inespugnabile: il sistema di difesa era composto da un triplice ordine di strutture così che si poteva aprire un micidiale tiro incrociato davanti alle porte e verso i lati più accessibili. Nonostante ciò cedette più volte davanti all’impeto degli assalitori. Il solo a penetrarvi senza colpo ferire fu Cesare Borgia, che aveva indotto il castellano al tradimento . Al suo interno si sono consumati drammi e goduti momenti felici della vita cortese “. Cominciamo la visita dalla sala degli strumenti di tortura, così raffinatamente perversi che mi è venuta voglia di rinunciare all’appartenenza al genere umano. Andiamo alla ricerca del Caravaggio perduto che secondo la guida dovrebbe essere conservato qui, ma non lo troviamo. Ci diranno poi che forse è stato esposto solo per un breve periodo. Troviamo però una bella esposizione di foto di S. Leo, poi passiamo dalla cella in cui fu tenuto prigioniero Cagliostro. Fu definito dal Sant’Ufficio “ uomo che nulla crede, senza religione, uomo vituperoso e assai cattivo, tenuto in concetto di birbo, ciarlatano furioso e bestiale, briccone, entusiasta , deista” e chi più ne ha più ne metta. Alla fine del Settecento le sue stregonerie avevano ammaliato le corti di mezza Europa e preparato addirittura la caduta della corte di Francia. Era uno spirito libero, che finì i suoi giorni in un orrendo pozzetto a cui si accedeva solo attraverso una botola con una finestrella da cui si vedevano solo le chiese del paese, così imparava a essere entusiasta. Finita la visita, scendiamo in paese a piedi. La tradizione vuole che nel IV secolo San Leone si rifugiasse qui come eremita e si dice che quando, seicento anni più tardi l’imperatore Enrico II volle trasportare il suo corpo in Germania i cavalli, recalcitranti, non andarono oltre un paesino nei pressi di Ferrara, oggi chiamato S. Leo di Voghenza. Sul luogo dove San Leo visse i suoi ultimi anni da eremita, nel IX secolo fu eretta la pieve a lui intitolata. A pianta basilicale, ha linee e strutture di purissimo stile romanico e rivolge la parte absidale alla piazza. Il ciborio di marmo è datato 882, per dire quanto è antica la pieve, e nella cripta sottostante c’è l’urna del santo. In una posizione poco più elevata c’è il Duomo, edificato fra il XII e il XIII secolo con pietra arenaria elegantemente lavorata. E’ talmente addossato allo strapiombo della rupe che non ha  una vera facciata: si entra da una porta aperta sul fianco prospiciente la pieve. San Leo godette, almeno fino al XVII secolo, di notevole rilevanza politica nonostante avesse sempre una popolazione sempre inferiore ai  mille abitanti. Conclusa la visita, Camilla e Paolo ci salutano, come pure Titti e Maurizia.. Rimarremmo in 16 con tre macchine. Studiamo attentamente il ben noto problema del trasporto attraverso il fiume della capra e del cavolo e alla fine ci appare chiaro quello che dobbiamo fare: Titti dà un passaggio a Pino, Anna Ch e Carla, che ci aspetteranno a valle. Noi andiamo ai calanchi alla base della Rocca di Maioletto, passeggiata facile e molto bella. Intanto ci salta la prenotazione che Dani aveva fatto in un ristorante, quindi ne facciamo un’altra al Ro Bunì. Cosa vuol dire? Ro era  quello che si diceva quando si voleva che la mucca rossa, che stava a sinistra, doveva voltare a sinistra, mentre Bunì informava l’altra mucca che doveva voltare a destra ). Mangiamo ottimi gnocchetti, tagliatelle, carne, patate al forno, verdure. Quando arriva la ciambella siamo già sazi e quando vede che la sto incartando per portarla a casa Sandro mi consiglia di nasconderla fra le tette. Finito di cenare Anna Ch, Carla e Rita ci salutano, e noi torniamo a casa.

 

Domenica 3

 

Destinazione       Pennabilli   - Anello di Tonino Guerra

Partecipanti        Anna Po, Giorgio, Iso, Laura, Lucia, Miriam, Patrizia, Patti, Sandro

Durata                4 pericolosissime ore

 

Dopo  una colazione molto rilassata, partenza alle 9 per Pennabilli. Una volta arrivati giriamo pigramente per le graziose stradine – mi sono confrontata con Patti per descrivere Pennabilli, ma lui ricorda cose tutto diverse da me, non ci si può fidare dei ricordi quindi ho deciso di mantenermi sul vago. Raggiungiamo la roccia di Tonino. Dice la guida: “ Incastonata nella pietra del Roccione l’ultima dimora del poeta e sceneggiatore Tonino Guerra si trova in uno splendido terrazzo del giardino della “ Casa dei mandorli “ dove il Maestro ha vissuto i suoi ultimi anni.. Prima di passare “ nell’altra stanza “ il Maestro ha scelto Pennabilli e questo bellissimo punto panoramico dalla quale si ammira la vallata e il Cannaiolo , luogo magico che per il poeta rappresentava “ l’infanzia del mondo”. “ Da Pennabilli – dice il poeta – io guardo i Sassi di Simone e Simoncello dove resiste ancora il fiato dei dinosauri… guardo questo ampio lenzuolo di calanchi e cime di paesaggi che incantano gli occhi “. Entriamo nel Santuario dei pensieri . “ Collocato tra le mura dell’antico castello di Penna che diede i natali alla famiglia Malatesta, è un giardino orientaleggiante molto suggestivo che ospita sette enigmatiche sculture in pietra che suscitano echi nel, cuore, nella mente e nell’anima del visitatore e che Tonino descrive come “ sette pietre misteriose, sette specchi opachi per la mente, sette confessori muti che aspettano le tue parole belle e le tue parole brutte” .   Tutto è fiori, silenzio, canto di uccelli. Saliamo in cima alla collinetta sovrastante, da cui si gode una bella vista sulla cittadina. C’è una campana donata dal Dalai Lama, che si dovrebbe suonare dopo aver fatto una buona azione. Noi delle buone azioni non mi pare che ne abbiamo fatte ultimamente, però la suoniamo lo stesso a più riprese, divertendoci moltissimo. Poi ci sediamo nelle originali “ panchine sociali “ in cui degli schienali mobili fatti di tronchi d’albero piantati in una cavità  si possono  spostare in modo da stare di fronte alla persona con cui stai parlando. Stiamo un po’ lì a riposarci e a fare foto, poi andiamo a visitare l’Angelo coi baffi, un’installazione multimediale nella chiesetta dei Caduti che trae origine da un’omonima poesia di Tonino Guerra dedicata a un Angelo che “ non era capace di far niente “ e invece di volare nel Paradiso, scendeva nel Marecchia a dar da mangiare a degli uccelli impagliati, che un giorno aprirono le ali e presero il volo. Intanto si è fatto mezzogiorno. Entriamo nel primo bar che incontriamo creando un bello scompiglio e facendo la nostra terza prima colazione – la seconda l’avevamo fatta all’arrivo in paese. Alle dodici e un quarto salutiamo gli amici che non camminano, diamo loro appuntamento a  Villa Maindi e partiamo per la camminata. Oggi è la prima giornata decente da che siamo arrivati: il cielo non è proprio limpidissimo, ma ci accontentiamo. Il sentiero è facile, ma insiste nel salire, mentre noi sappiamo che dobbiamo arrivare al fiume che scorre in fondo alla valle. Finalmente però, dopo un bel po’, il sentiero si decide a scendere ed ecco che ci troviamo al Cannaiolo, con le sue cascatelle e le sue acque veloci  che la guida assicura sono trasparenti e fresche anche quando attorno l’aria vibra e brucia dal caldo. A proposito del Cannaiolo Tonino Guerra parla di una fessura con brandelli d’acqua saltellante … creata da antichi torrenti dove sono precipitati grandi massi durante l’infanzia del mondo .Toccare quelle pietre gli crea dei giochi di memoria così da portarlo a riprendere un aspetto di una vita primitiva che pensa di non aver vissuto. E continua: “ Questo carico di anni sulle spalle può essere la scoperta più misteriosa che possano ricevere i visitatori di questo Parco così ricco di luoghi magici “. Magici? Pericolosi, direi, perché questi brandelli di acqua scintillante noi dobbiamo guadarla, e non sembra per niente facile. Per fortuna però Sandro si è portato dietro una corda che tenderà in modo che noi  ci possiamo aggrappare, e poi i massi sono abbastanza stabili e le mani dei nostri compagni sono forti e salde. Quindi riusciamo ad attraversare il torrente senza bagnarci. Risaliamo verso Villa Maindi, dove troviamo Alba, Isa e Dani e facciamo un picnic. Lasciamo Patti e Pino ,che torneranno in macchina con le ragazze e prendiamo il sentiero per Pennabilli. Sappiamo che in fondo alla valle incontreremo ancora il fiume, ma contiamo sul fatto che il Cai di Bologna ha mandato qui dei soldi per fare un ponte, e quindi siamo tranquilli. Scendiamo lungo bei prati con grandi macchie gialle e bianche di tarassaco e margherite. Passiamo da Cà Fanchi. Il borgo si trova in un luogo già colonizzato dai Romani, come testimoniano i reperti fittili emersi durante le arature. Vi si trova un oratorio dedicato alla Beata Vergine della Natività, costruita su una cappella dell’inizio del Seicento. Di forma semirotonda, ha una linea architettonica armoniosa ed elegante, con un tetto a pagoda sostenuto da una corona di mattoni a sbalzo. Siamo così incantati dalla bellezza dell’oratorio che prendiamo la direzione sbagliata, così scenderemo per un pezzo e poi dovremo risalire bestemmiando. Arriviamo al fiume, e il ponte non c’è, maledizione. Il fiume è più largo che nel punto in cui lo abbiamo guadato prima e i massi sono pochi e ballerini. Sandro ne va a saggiare la stabilità e nell’impresa gli cade in acqua la macchina fotografica. Iso e Patrizia cercano di costruire un ponte , ma i sassi sulla riva sono piccoli e pochi, e nel lanciarli in acqua si bagnano tutte, e quindi desistono. E adesso cosa facciamo? Io, Anna e Lucia vorremmo tornare indietro fino alla strada asfaltata, ma nessuno vuole venire con noi e noi non sappiamo se siamo in grado di arrivarci da sole, quindi bisogna prendere una decisione drastica: alcuni si levano le scarpe e attraversano a piedi nudi l’acqua che sembra ghiaccio liquido , io attraverso con le scarpe e dopo, siccome non ho quelle di ricambio, continuerò la camminata facendo scic sciac coi piedi. Che avventura! Sono sicura che un giorno la ricorderemo ridendo , se non verremo stroncati dalla broncopolmonite, ma adesso non ne abbiamo tanta voglia. Arriviamo all’Orto dei frutti dimenticati, che si trova nell’antico orto del convento dei frati missionari del Preziosissimo Sangue. E’ stato il primo intervento a Pennabilli voluto da Tonino Guerra, dopo la decisione di risiedere in questa città . “ E’ un piccolo museo dei sapori per farci toccare il passato “, ha detto il Maestro. Oltre ad accogliere antichi sapori di frutti dimenticati, nell’Orto si trovano anche opere di artisti contemporanei e dello stesso Tonino Guerra, alcune delle quali dedicate alla memoria di grandi maestri e suoi collaboratori come Fellini e Tarkowskij. Arrivati in paese, mi tolgo le scarpe e le sostituisco con un paio preso a prestito da Patti, poi andiamo a prenderci un ottimo gelato, che ci  mangiamo seduti sui gradini della chiesa, al sole. Stamattina Pino mi aveva raccontato  che al tempo del liceo alcuni suoi compagni facevano una gara sulla scalinata di questa chiesa: partendo dal basso, ad ogni peto si saliva di un gradino e chi arrivava prima in cima aveva vinto. Mi aveva detto anche che quello che vinceva più spesso era poi diventato sindaco del paese. Chiedo a Pino se vuole fare la gara di peti, ma lui dice di no perché non vuol correre il rischio di diventare sindaco. Torniamo alle macchine e salutiamo affettuosamente Lucia e Giorgio che tornano a Bologna . Alba avrebbe dovuto tornare con loro, ma la convinco a restare un altro giorno, cosa di cui mi pentirò amaramente quando al ritorno lei occuperà il bagno per ore per stirarsi i capelli. Torniamo a Villa Verucchio. Ci separiamo dalle ragazze dell’agriturismo e ci diamo appuntamento da loro alle 7. Ma quando scendiamo per andare all’appuntamento ci rendiamo conto che siamo in sette e che abbiamo una macchina sola, quindi Anna e Sandro si avviano a piedi,  Pino ci porta al luogo d’incontro e torna indietro a prenderli. Quando saremo tutti radunati, Pino parte a razzo e noi lo perdiamo subito di vista e per un pezzo ci daremo appuntamento alla prima rotonda – che invece sarà la quarta. Arriviamo a Sant’Arcangelo, dove siamo a cena alla Sangiovesa, che ha sede nell’antico palazzo Nadiani, risalente ai primi del Settecento. E’ un piacevole labirinto, con un susseguirsi di sale, salettine,, luoghi romantici e grotte antiche che risalgono all’anno Mille.. Al piano inferiore, cui si accede con una scala e uno scivolo, c’è la fonte dei desideri, con una sorgente naturale e un’installazione permanente delle colombaie provenienti da tutto il mondo. Nel piano superiore si trovano alle pareti poesie vernacolari, gli avvisi di Tonino Guerra, ceramiche antiche e strumenti del mondo contadino. Il ricco depliant che ci viene offerto, spudoratamente autocelebrativo,  ci informa che nell’azienda agricola da cui provengono i loro prodotti , pecore, capre, agnelli, asini godono di un bel panorama – chissà quanto lo apprezzano ! -.Il loro resort poi è uno scrigno incastonato tra le vigne e il bosco, ideale per una fuga romantica – me ne ricorderò, non appena avrò incontrato qualcuno con cui fuggire . Il livello dei piatti è elevato – anche il prezzo, ma chi se ne infischia quando si mangia così bene? Mangiamo ottimi passatelli asciutti, un coniglio che si scioglie ancor prima di arrivare in bocca, ottime piade e carciofi così buoni che mai. Ne chiedo la ricetta, ma me la danno intenzionalmente sbagliata ( abbiamo individuato il sapore di ingredienti che non hanno nominato ). E anche il vino è buono. Prima di tornare a casa, visitiamo il paese, che è molto carino.

 

Lunedì 4

 

Destinazione        Sentiero della Rupe del Titano

Partecipanti          Iso, Miriam, Patrizia, Pino, Sandro

Durata                  2 ore?

 

Dopo colazione facciamo le valigie e diamo una rapida pulita alla casa. Quando arrivano le nostre amiche dall’agriturismo, andiamo a visitare il monastero dei frati francescani. Prendiamo una strada che sale fra gli ulivi. Ci fermiamo davanti a un giardino per complimentarci con la padrona per una bella pianta dai fiori bianchi. Chiediamo come si chiama e la signora dice che non lo sa, però ci fa una grossa talea e ce la mette da parte per quando ripasseremo. Il convento risale forse al 1215. Ha un notevole portale gotico e nel bel chiostro c’è un colossale cipresso di 700 anni d’età che la tradizione vuole piantato da San Francesco. E’ alto 30 metri e da quando è stato colpito da un fulmine irrispettoso che ha incenerito alcuni rami,è puntellato da grossi tubi. Ritorniamo alle macchine e partiamo per San Marino. Arrivati ai piedi della rupe, Alba, Dani, Isa, io e Patti prendiamo la funivia, mentre gli altri si avviano per il sentiero. Arrivati in cima, ci mettiamo a girare  pigramente per il centro storico, che è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 2008. Gettiamo occhiate distratte alle vetrine, che offrono un vasto assortimento di artigianato, souvenir e pistole , rallegrandoci del fatto che gli sciami di turisti che di solito infestano questi luoghi oggi non ci sono. Quella di San Marino è una repubblica antichissima. E’ infatti un documento del 1244 che per la prima volta cita i nomi di due “ consules “ e dal 1295  si stabilisce che il loro mandato non deve superare i sei mesi. Attualmente i Capitani Reggenti possono essere eletti di nuovo dopo tre anni dal loro incarico precedente e nel 1981 è stata eletta anche una donna, pensa te. Proseguiamo la passeggiata e ci fermiamo in Piazza della Libertà, una meravigliosa terrazza sul Montefeltro, che si stende languidamente sotto di noi emergendo da velature sottili di nebbia. Visitiamo la Basilica del patrono di San Marino. E’ di stile neoclassico e fu costruita su un’antica chiesa  abbattuta all’inizio dell’Ottocento perché non era più adatta all’accresciuta popolazione. Nella cripta è conservata l’urna con le ossa di San Marino che, dopo la metà del IV secolo dopo Cristo , lasciò la Dalmazia con quello che divenne poi San Leo, forse a causa della persecuzione dei primi cristiani. Erano due scalpellini che salirono sul monte Titano per estrarre e lavorare vari tipi di roccia, e vi rimasero per alcuni anni. Poi la separazione. Leo andò sul monte Feliciano ( o Feltro ) e costruì assieme ai compagni di viaggio un piccolo oratorio. La leggenda racconta come i due santi scalpellini si passassero da un monte all’altro gli arnesi del mestiere. Marino fu presto invitato dal vescovo di Rimini per sostenere la fede contro le eresie così diffuse nella città. Poi, stanco della vita stressante, già a quei tempi, della popolosa Rimini, tornò sul monte Titano per riprendere la sua vita di penitenza e fondò una piccola comunità di cristiani, a cui il monte fu lasciato in eredità dalla pia donna riminese che ne era proprietaria. Prendiamo il suggestivo sentiero panoramico che porta alle tre torri. La prima torre è la maggiore e più antica delle tre. Posto di guardia e rifugio dei primi abitanti, risale al Mille. E’ circondata da due cinte murarie difensive. La più antica è quella interna, con ingresso sopraelevato che racchiude la torre campanaria e gli alloggi delle guarnigioni trasformate successivamente in carceri. La seconda torre sorge sul punto più alto del monte, a 755 metri. Utilizzata come punto di avvistamento già in epoca romana, viene già citata da un documento del 1253. La terza torre risale alla fine del Duecento. Ritorniamo verso la basilica e saliamo a un giardino sopraelevato sulla destra ad aspettare i nostri amici, che arrivano presto  e non sembrano neanche tanto stanchi. Andiamo a mangiare ottime piadine, poi Alba, Dani e Pino ci lasciano perché hanno un impegno nel tardo pomeriggio. Finito di mangiare, invece di riprendere la funivia, scendiamo lentamente godendoci il paesaggio. Arriviamo alle macchine e partiamo. A casa alle sei e mezzo. Ma che bella vacanza!!!