GITA A BORDEAUX 5-9 OTTOBRE 2015

5 OTTOBRE - ARRIVO E DUNA DI PILAT - FILMATO( CLICCA)

6 OTTOBRE - VISITA DELLA CITTA' -             FILMATO

7 OTTOBRE - SAINT EMILION E CADILLAC      FILMATO

8 OTTOBRE - MEDOC - BLAYE E BOURG        FILMATO

9 OTTOBRE - RITORNO                                FILMATO

IL DIARIO DI LAURA

Bordeaux 2015

Lunedì 5 ottobre

 E’ una verità universalmente nota che, se vuoi incontrare un amico che non vedi da anni, devi andare all’aeroporto Marconi. E infatti quando arriviamo lì alle 11 - ci ha accompagnato Angela, che Dio la benedica - troviamo Margherita. Baci e abbracci. Anche lei sta andando a Bordeaux, ma non si fermerà lì, e non avremo modo di andare in giro assieme. L’aereo si alza e dopo poco viaggiamo su un fitto strato di bioccoli di ncotone idrofilo, con le Alpi innevate sullo sfondo. Poi tutto viene inghiottito dalla nebbia e non si vede più niente. Speriamo che il radar ci veda meglio di noi. L’aereo si prende due o tre scossoni – cosa di cui Patti approfitta per terrorizzare Titti, che è seduta accanto a noi. Dopo un atterraggio splendido, salutiamo affettuosamente Margherita e ci separiamo. I nostri guidatori – Isa, Isora, Alberto - si mettono in fila per le pratiche prima della consegna delle auto, cosa molto complicata che porterà via più di un’ora. Intanto, siccome c’è un gran cartello che dice minacciosamente che i bagagli senza padrone verranno distrutti, organizziamo dei turni di guardia mentre andiamo al bar a prendere il caffè. Lo zucchero precipita immediatamente sul fondo, dandoci modo di dire al barista “ Questo Ciccio te lo ciucci tu”, secondo le indicazioni del marito di Regina. Ma poi lo beviamo lo stesso. Comperiamo dei panini, e constatiamo che tutto sembra costare più che in Italia. Prima di uscire dall’aeroporto, notiamo che in un cortile interno c’è una piccola vigna molto bassa. La faranno vendemmiare dai nani, oppure dai bambini dell’asilo – dice Isa. Andando verso il nostro albergo a Saint Jean d’Illac, ci fermiamo a una pasticceria, dove veniamo trattati a pesci in faccia: questo è il primo approccio con la scontrosità dei francesi. Il secondo è al nostro albergo – il Park Suites – dove non vogliono assolutamente accettare le nostre valigie perché sono le tre e venti e la reception comincia a lavorare solo alle tre e mezzo. Ce ne andiamo via portandocele dietro – non l’avessimo mai fatto – verso la Duna du Pilat, da tempo la più grande d’Europa. E’ 250 metri di ampiezza e quasi tre Km di lunghezza. Si allunga di quattro metri e mezzo verso est ogni anno e nel corso della sua marcia ha già inglobato alberi, un incrocio stradale e perfino un hotel. Finirà per divorare tutta la Francia, dice Patti, ma ci vorranno molti anni. Dal punto più alto, circa 114 metri, il panorama è magnifico: sono visibili i banchi di sabbia alla foce del Bassin d’Arcachon mentre verso est lo sguardo si perde fra fitte e scure foreste di pini. Ci sono anche tratti di sabbie mobili, ma per fortuna riusciamo ad evitarli. L’Atlantico è molto calmo perché è pochissimo profondo e sembra una lavagna. Saliamo con fatica sul punto più alto della duna, affondando nella sabbia e imbarcandone una grande quantità nelle scarpe. Dall’alto i colori sono bellissimi: la duna è di un caldo giallo ocra e il mare di un argento plumbeo. Il cielo è ingombro di nuvole, che lasciano però passare dei raggi di sole che fanno brillare il mare. Verso il tramonto, una lama di luce all’orizzonte divide cielo e mare : una vista spettacolare. Andiamo a cena ad Arcachon (cibo discreto, vino buono, acqua della casa perché quella minerale costa più del vino, in Francia ). Alle 11 siamo in albergo, ma alla reception non c’è nessuno – il servizio termina alle sette. Dalla cassaforte prendiamo le buste con le nostre chiavi e andiamo a cercare le stanze, cosa difficile perché il complesso è stato progettato da Dedalo, che si dice che si sia perso anche lui. Cate, Alberto, Miriam e Iso sono i più fortunati: trovano tutto a posto e vanno a dormire. Io, Patti, Isa e Mariella arriviamo in camera e sembra che ci sia passato lo tsunami: i letti sono sfatti con le sedie rovesciate sopra, lo scopino del bagno è sul tavolo di cucina, secchi e scope sono abbandonati qua e là, vivaci gatti di polvere si muovono sul pavimento. Raggiungiamo gli altri alla reception. La chiave del 408 non apre. Che sia la 108? Vanno a vedere. La porta si apre e dentro ci sono due che dormono. Chiudono in fretta e tutti di nuovo alla reception. Mentre noi ci agitiamo Cate e co. dormono della grossa. Telefoniamo al numero delle emergenze e ci rispondono che loro non c’entrano. Ci suggeriscono un albergo lì vicino a soli 125 euro a notte. Mariella, che è ingenua, vorrebbe andarci – tanto ci rifonderanno, dice. Ma per fortuna al telefono non rispondono. Chiamiamo la polizia? E mentre noi siamo nelle ambasce, c’è chi dorme della grossa. Fortunatamente a Titti viene in mente di riaprire la cassaforte e dentro troviamo un’altra busta a nostro nome, e fortunatamente le chiavi aprono e le stanze sono agibili così che Pino non sarà costretto a dormire in macchina e Dani sul divano della reception, come si erano offerti di fare. Resta il problema della nostra stanza. Che fare? Alla fine, rischiando di infettarci, facciamo i letti – per fortuna ci sono lenzuoli puliti piegati sul comò– ci facciamo prestare dagli altri un asciugamano a testa, ci laviamo e ci mettiamo a dormire cercando di non toccare niente di quanto ci sta attorno. Mariella si lamenta e Isa le dice: “ Pensa alla Madonna che doveva partorire e non le davano una camera!”, ma lei non si lascia consolare. All’una e mezzo tutti a letto – ma ci sarà qualcuno che non riuscirà a chiudere occhio per tutta la notte. Una vera avventura. Un giorno ci divertiremo tanto a ricordare questa serata. Ma non ora.

Martedì 6

Carla passa mezza mattinata a litigare con l’impiegata della reception, che sembra infischiarsene di quanto è successo ieri notte. Alla fine ci da’ un’altra camera e ci trasferiamo. Alle 11 partiamo per Bordeaux. Durante il tragitto Isa comincia a sgridare me e Patti – e continuerà per tutto il viaggio – perché dice che ci impagnocchiamo ( la parola non esiste ma secondo lei vuol dire” tubare coprendo con le teste la visuale del lunotto posteriore “). Arrivati a Bordeaux, mettiamo le macchine in un parcheggio a pagamento, che se no saremmo ancora lì a cercare un posto. Poi visitiamo dall’esterno la cattedrale, di belle forme gotiche – per l’interno ci toccherà tornare un altr’anno perché è chiusa per restauri. Andiamo in giro per le strade del centro, fiancheggiate da begli edifici settecenteschi – ce ne sono 700 sparsi per la città – molto eleganti. Comperiamo frutta, nocciole dolci e salate e degli stufilotti ungheresi di pasta di brioche con una deliziosa crosticina. Il cielo è nuvoloso e minaccia di piovere. Arriviamo alla chiesa di Santa Croce, con una bella facciata dalle forme originali, diversa dalle altre che sembrano tutte uguali e un interno di bella semplicità romanica. Ci fermiamo nella piazzetta antistante a mangiare insalate con la sabbia che scricchiola sotto i denti e bicchieri di lenticchie – buone. Il cielo smette di minacciare e comincia a piovigginare, ma si stancherà presto e potremo richiudere gli ombrelli. Visitiamo la chiesa di San Michele, di architettura essenziale ed elegante e belle vetrate coloratissime. Isa dice di aver visto una chiesa di San Michele anche in Puglia. E’ un arcangelo molto importante, dice, ma poi l’unica cosa che si ricorda è che ha affrontato un toro. Ma ci voleva un arcangelo per questo, non bastava un torero? Proseguiamo la visita della città e, nella bella piazza dove c’è l’edificio della Borsa, uno specchio d’acqua pochissimo profondo riflette gli edifici circostanti con effetto molto scenografico.y Patti si leva le scarpe e vi entra e pare che cammini sull’acqua. Facciamo una passeggiata sul lungofiume fiancheggiato da edifici eleganti, scansando i tram che scivolano dolcemente sull’erba. Arriviamo al museo mentre sta chiudendo. Peccato. Un passante ci indirizza al ristorante Entrecote e ci dice di sbrigarci perché ci sono sempre delle gran file per entrarci. E’ vicino al teatro. Arriviamo alle sei e tre quarti, ci mettiamo in fila e aspettiamo fino alle sette e un quarto, quando apre. Mangeremo entrecote sublimi con le patate: indimenticabili

Mercoledì 7

Alle otto e mezzo andiamo a fare colazione alla nostra pasticceria, dove ci accolgono molto affettuosamente. Piove a dirotto e fa freddo, ma nel corso della giornata il tempo migliorerà progressivamente. Andiamo a S.Emilion, un paesino molto carino con stradine belle e suggestive. Passiamo da una chiesa antica senza tetto. E’ chiusa, naturalmente, e ci si entrerebbe solo dal rosone ma Pino, che è l’unico che potrebbe farlo, si rifiuta. La cattedrale è molto bella, con uno splendido chiostro. Camminiamo per le stradine – incontriamo un bel lavatoio e qualche bel cortile interno -, entriamo nei negozi a comprare vini e formaggi. Il pranzo è libero e c’è chi si siede al ristorante, chi mangia seduto su una panchina. Dopo pranzo andiamo al castello natale di Montesquieu, che però è chiuso. Andiamo quindi verso il castello di Cadillac. Attraversiamo un bel paesaggio con cieli infiniti ingombri di nuvole scenografiche, mari verdi di vigne che salgono e scendono dolcemente e che aspettano solo che ce ne andiamo per prendere i colori rosso e giallo dell’autunno.

Facciamo una sosta a Branne, a guardare il fiume Dordogne tutto bello limaccioso, e la chiesa, che non è niente di speciale. La cittadina è deserta, così i suoi abitanti si perderanno lo spettacolo dei primi turisti che passano per di lì.

Arriviamo al castello di Cadillac, dall’aspetto molto imponente. Il primo proprietario fu il duca di Epernon, favorito del re Enrico III – io ho un bel da dire che la parola non implica affatto che i due andassero a letto assieme, ma quelle portinaie dei miei amici insistono a spettegolare. Acquisito dallo stato, nel 1818 il castello diventa un carcere femminile. Alla fine dell’800 la prigione viene chiusa e riconvertita in centro di recupero per giovani donne, fino al 1952. Da allora si sono susseguiti vari interventi di restauro. All’interno le stanze ( ce ne sono 60 ) sono ornate da grandi arazzi in oro e seta, soffitti dipinti con ceste di fiori e frutta, ritratti, bei camini di marmi variegati finemente decorati. All’esterno un piccolo giardino fiorito era provvisto di una grotta e di giochi d’acqua che si accendevano quando qualcuno passava. Successivamente divenne l’orto della prigione nel cui pozzo, ancora esistente, alcune detenute posero fine ai loro giorni: qui infatti le prigioniere subivano le peggiori condizioni di trattamento di tutta la Francia.

Ritorniamo verso S. Jean d’Illac e ceniamo in un ristorante italiano vicino al nostro albergo, dove insistono a parlarci in spagnolo. Mangiamo insalate ( particolarmente buona quella “gourmande “), pizze e pasta. Alle nove e mezzo siamo in albergo. Sarà venuto finalmente il momento di giocare a burraco? Dopo una faticosissima contrattazione: quanti vogliono giocare? Chi? Dove? Giochiamo in quattro, in sei o in otto? Alcuni dicono che non vogliono giocare e persistono, altri dicono di no e poi di sì, altri non ne hanno voglia ma quando vengono esclusi si offendono. Un delirio. Ci ritroviamo nella nostra stanza per giocare in sei – ma come si fa che abbiamo solo cinque sedie e che non se ne può portare da un’altra stanza perché sono pesantissime? E poi Iso non arriva perché sta consolando Dani e Pino che non sono potuti entrare in camera perché gli si è smagnetizzata la chiave – per fortuna questa volta la chiamata d’emergenza funzionerà, e verranno a sostituire la chiave. Nell’attesa discutiamo sul da farsi e ci prepariamo ad ospitarli nel letto di Isa, che però fa un po’ di resistenza. Finalmente la situazione è risolta e arriva Iso, che comunque deve tornare in camera perché non si è portata dietro le carte. Intanto si fa notte e Carla dice che lei e Titti vanno a letto. Cominceremo a giocare alle dieci e mezzo, in quattro.

Giovedì 8

Mi sveglio, guardo fuori e c’è una bella falce di luna che assieme a Venere brilla in un cielo limpido e freddo. Tornando dalla pasticceria trovo Mariella che prende lezioni di burraco, perché ha capito che , se no, non ha futuro in questa compagnia. Oggi andremo a visitare le vigne. Attorno a Bordeaux ci sono mille km quadrati di vigne e assieme alla Borgogna questa è l’area di produzione dei migliori vini francesi. Bordeaux conta 5.000 Chateaux - che sono proprietà circondate da vigneti e dotate di proprie cantine. Partiamo e attraversiamo ancora un bel mare di vigne verdi ( per vederle con i colori dell’autunno ci toccherà di andare di nuovo a Spilamberto ). Titti ha un gran daffare. E’ secondo pilota e signora della temperatura: è sempre lì che smanetta sul cruscotto perché c’è chi dice che è freddo, chi che è caldo e poi c’è il problema che non sappiamo se AC vuol dire aria calda oppure aria condizionata. Quando le dico che è brava, Isa si altera perché nessuno si è preso la briga di dirle quanto è brava lei a guidare.

Arriviamo a Chateau Margaux, dove si producono vini da quattro secoli. Gli edifici annessi al bel castello sono molto eleganti, così eleganti che la toilette non è indicata in nessun modo e anche quando finalmente entri nell’antibagno esci subito perché pensi che sia un salotto . Nell’amplissima sala d’ingresso danno a ognuno di noi un depliant in carta patinata scritto sicuramente da un Accademico di Francia. Sentite un po’: “ Chateau Margaux ha la grandiosità e la debolezza dei destini umani. Dal 1855 i nostri vini hanno conosciuto fama e fortuna, anche se sappiamo per esperienza quanto siano effimere: infatti le guerre e le crisi hanno a volte avuto ragione degli sforzi dei proprietari, che si sono dedicati a questa avventura appassionante”. Poi l’Accademico deve essere passato dalla cantina perché verso la fine fa una confusione , che sembra etilica, fra il vino e l’innamorata . Dice che il loro vino ci tocca il cuore e nello stesso tempo ci soddisfa i sensi. Si tratta di vero amore, che resiste al passare del tempo. “ Per i nostri vini invecchiare non è una fatalità, è il mezzo di diventare migliori. Quello che perdono in freschezza e in potenza, lo guadagnano in dolcezza e complessità, perfino in mistero”. Accidenti. Veniamo accolti molto gentilmente, però di visitare il castello e la vigna non se ne parla, bisognava prenotare con molto anticipo.

Andiamo al Chateau de Lanessan e prenotiamo una visita guidata per le due. Quindi c’è tempo per andare a Pauillac dove pranziamo all’Hotel de France e d’Angleterre con un’ottima anatra a un prezzo stracciato.

Alle due comincia la nostra visita. Ci accompagna una ragazza giovane, carina e piena di vita che ci porta ad assaggiare i vari tipi di uva e poi ci illustra tutti i passaggi per trasformare l’uva in vino. La cosa che mi ha colpito di più è stato vedere all’opera la macchina che raccoglie i grappoli sottoponendo la pianta a una vibrazione così forte da sembrare un terremoto. La visita finisce con la degustazione degli ottimi vini che si producono qui – ne compreremo una bottiglia che ci berremo stasera in albergo.

Andiamo poi a prendere il traghetto che ci porta a un breve percorso sulla Gironda, anche lei limacciosa. Poi visitiamo la fortezza di Braye una volta protetta dall’acqua, ora da torme di conigli che scorazzano nel fossato. E’ cinta da un doppio fossato e doppie mura. Lungo una ripida rampa si passa la prima porta e attraverso un ponte che valica il secondo fossato si raggiunge la seconda porta, oltre la quale attraversiamo un villaggio di case d’epoca, alcune ancora abitate, altre adibite a taverne, altre a museo, altre ancora a negozi di cianfrusaglie. La via corre in salita fino a un arco di porta all’interno del quale si trovano le piazzuole per i cannoni, la santabarbara interrata e i resti di un più antico castello che era governato dal famoso trovatore Jaufré Rudel. Secondo la leggenda ripresa dall’ode del Carducci ( che Patti e Pino vanno declamando con aria sognante ), innamorato della contessa di Tripoli senza averla mai vista se non in effige, spese la sua vita per raggiungerla ,morendo alfine fra le sue braccia con queste ultime parole:” Contessa, che è mai la vita? E’ l’ombra di un sogno fuggente. La favola breve è finita, il vero immortale è l’amor” .

« “Lanquan li jorn son lonc e May
M'es belhs dous chans d'auzelh de lonh,
E quan mi suy partitz de lay
Remembra'm d'un'amor de lonh” »

(Jaufré Rudel, Lanquan li jorn son lonc e M

Mentre ritorniamo verso casa, ci fermiamo a guardare dall’alto la confluenza della Dordogna e della Garonna, che per una gioco di riflessione ingannevole sembrano azzurre. Cena a Bourg, in un ristorante con musica dal vivo,dove mangeremo bene.

Venerdì 9

Dopo la colazione alla nostra pasticceria, andiamo a passeggiare nel bel parco di Bourgailh, poi eccoci alla ricerca di una stazione di servizio per fare benzina. Niente da fare, non la troviamo e quindi dovremo consegnare le macchine coi serbatoi quasi vuoti. Immagino che si rivarranno sulla carta di credito di Isa, che da questo momento farò finta di non conoscere. Viaggio aereo nella norma.