Il diario di Laura
Mercoledì 4 novembre ‘09
Destinazione Levizzano – Castelvetro
Partecipanti Anna Chiarini, Cate, Dani, Ale, Iso, Gio, Laura, Sandro, Umberto
Durata Due ore e mezzo
Alle nove meno un quarto da Cate, poi colazione alla Muffa. Alle dieci e mezzo siamo nei pressi di Levizzano. Sandro, che sta davanti, volta a destra, torna indietro, volta a sinistra… sembra un percorso ozioso, e invece lo sta facendo perché possiamo goderci la bellezza dele colline pettinate a vigne rosse e gialle, che formano delle grandi macchie colorate. Parcheggiamo e ci avviamo. Devo prendere i bastoncini? No, dice Sandro, facciamo della strada asfaltata e solo qualche scorciatoia su sentiero. Solo? Risulterà poi che per tre quarti del percorso scivoleremo giù per cavedagne argillose – la regola è che si va sempre in salita, nelle nostre passeggiate, tranne quando il terreno è scivoloso, allora si va in discesa.
Intorno è tutto uno sfolgorio di gialli, ocra e rossi con sullo sfondo un cielo ingombro , tragico, disfatto, che sicuramente ci starà preparando un brutto scherzo – e invece comincerà a piovere solo quando saremo di ritorno a Casalecchio. Dopo un po’ mi accorgo che sto camminando sulla mia ombra. Alzo gli occhi e c’è il sole! Ma verrà subito risucchiato dalle nuvole.
Sandro oggi è strano, e invece di lasciarci andare avanti per poi mangiarci la faccia perché non abbiamo voltato di qua o di là, ci avverte prima in modo benevolo: attente che là si gira! Perché mai un atteggiamento così bendisposto e allegro? Non sarà perché , dopo tanto tempo, ha riallacciato i rapporti con la sua navigatrice, che gli sussurra nell’orecchio con tono allusivo ? E’ la sua escort virtuale ( ognuno ha la escort che si merita, azzarda qualcuno ). Arriva perfino, in un momento che il gruppo è rimasto indietro e nessuno tranne me lo vede, a chiedere informazioni sul percorso ad un passante. E però a un certo punto si arrabbia perché c’è un gruppo che resta molto indietro e cammina come se stesse facendo delle vasche sotto il Pavaglione. E’ capeggiato da Caterina, che procede gesticolando. Stanno parlando di sentimento e risentimento, e l’argomento le sta coinvolgendo moltissimo.
All’una siamo alla trattoria Bolognina. Appena
seduti ,Ale si volta indietro verso il tavolo accanto e si mette a parlare
animatamente con uno dei tre maschi lì seduti. Lo conoscerà, penso io. E invece
no, sta civettando con uno sconosciuto. Chi si crede di essere, una escort? –
uso questo termine anche se lei ha minacciato di mandarmi una lettera
raccomandata se lo faccio. Quando arrivano le tagliatelle, lei si volta e dice
che sono buone. No, quella che è buona è lei, replica il più intraprendente dei
tre. Anche Dani viene fatta oggetto di complimenti. Ma perché, loro due sono le
più belle? No, dice qualcuno, sono le più vicine ai tre. Quello intraprendente
racconta la barzelletta della vedova che esce rinculando dal cimitero perché
suo marito diceva sempre che lei aveva un culo che faceva resuscitare i morti.
Per quanto riguarda il pranzo , ci sono due scuole di pensiero: 1) abbiamo
mangiato bene, e io faccio parte di questo gruppo 2) abbiamo mangiato male,
perché i tortellini e le crescentine non erano caldi come avrebbero dovuto. Sul
vino però siamo d’accordo , era buono. Umberto si lamenta tutto il tempo, anche
del nocino, e però spazza via tutto. Finito di mangiare, andiamo al bagno di
corsa, perché non ci vuol niente ad essere abbandonati sul posto. Cate si è
abbioccata, e si risveglia solo quando sente che stiamo progettando di andarcene
e di lasciarla lì.
Torniamo alla macchina e andiamo a Castelvetro. E’
deserta come San Francisco nell’ Ultima Spiaggia, dico io; e mentre lo dico mi
viene il sospetto che nessuno sappia di cosa sto parlando.
E così è, perché questi qui sono troppo giovani per ricordarsi di quel film
mitico, e così mi sento triste come l’ultimo dinosauro rimasto sulla terra.
Passiamo davanti a una targa che ricorda che Torquato Tasso si rifugiò qui,
spinto all’esilio da perfide calunnie. In paese non c’è nessuno, neanche un
cane. Ah, no, un cane c’è , e si schiaccia contro l’inferriata del giardino per
farsi accarezzare, e trema tutto per l’emozione, ma quando ha fatto il pieno di
carezze, se ne va senza neanche salutare. Passiamo davanti al museo
dell’assurdo. Nel giardinetto antistante, ci sono delle sculture così brutte che
dopo l’ultima volta che siamo venuti qui mi ero data da fare per dimenticarle
e c’ero riuscita. Una targa ricorda una frase di Einstein: “ Ci sono solo due
cose infinite, l’universo e la stupidità umana, ma sull’universo non sono ancora
sicuro “. Dopo aver completato un anellino attraverso il paese, torniamo alle
macchine. A casa alle cinque e mezzo.
[photogallery/photo13976/real.htm]