Destinazione Padova, per le mostre di Bembo e De Nittis
Partecipanti Angela, Anna Po, Anna Ch, Cate, Carla, Gio, Iso, Rita, Sandro, Patti, Laura, Massimo
Alle nove e dieci in stazione. Piove. Ah, ecco perché stiamo andando a vedere delle mostre, non si tratta di un insolito rigurgito di velleità culturali! Alla stazione di Padova ci aspetta Massimo ( Quadro ) che ha deciso, da Furore dove abita, di venire a svernare qui. Non capisco ma mi adeguo. Piove, e non abbiamo neppure la consolazione di poter dire “ governo ladro “ perché siamo senza governo.
Andiamo
per prima cosa al Palazzo del Monte di Pietà, dove il collezionismo del Bembo è
stato ricostruito in modo spettacolare, con un percorso accompagnato dall’audioguida
più bella che abbiamo mai sentito. Una mostra straordinaria per l’originalità
del taglio ( la storia singolare di un umanista è raccontata attraverso le opere
d’arte ), per la rilevanza culturale del personaggio ( grande codificatore della
lingua e dell’arte italiana ) e per l’eccezionale ritorno a Padova della sua
collezione d’arte, dopo secoli di dispersione.
Quali sono le cose che mi hanno colpito di più? Intanto il “Giovane
con il libro verde “ di Giorgione, una vera rivoluzione: fino a quel momento le
opere dei classici erano riprodotte in grande formato e furono Manuzio e Pietro
Bembo a concepire la nuova idea di un “ classico tascabile “.
Nella terza sala, la ciocca di capelli di Lucrezia Borgia, che lui amò
appassionatamente – e spero non solo in modo platonico come qualcuno dice .
Negli Asolani, Bembo parla della “ bella treccia simile a oro “, ed è così che
appare tuttora, il tempo non ha osato sciuparla – e Cate dice che la tinta era
naturale. Nella stessa stanza c’è poi una bella viola da gamba antropomorfa.
Nella sala seguente il grande arazzo della Conversione di Saulo. Appartiene al
glorioso periodo romano, in cui il nostro divenne segretario di Papa Leone X e
grande amico di Raffaello, ed è uno degli otto disegnati da Raffaello per la
Cappella Sistina, per cui il Bembo spese tanto quanto per la sua casa di Padova,
una cifra spropositata. Di Raffaello c’e anche una Madonna con Bambino, che
Angela dice che, per far posto a questo, arriverebbe anche a togliere dalla
parete un quadro del Pattarin. Nella sesta sala, il ritratto indimenticabile per
bellezza e vivacità di due amici del Bembo e di Raffaello, dipinto da
quest’ultimo.
Alla
morte del Papa, Bembo tornò al nord e allestì a Padova uno “ studio “ in cui
stipò i pezzi della sua preziosa collezione che oggi sono in mostra: libri,
manoscritti, quadri, sculture antiche e moderne, monete,gemme, vasi e strumenti
scientifici.
La sua casa padovana divenne un vero e proprio tempio delle Muse, o
Musaeum.
Fra le cose più belle, il drammaticissimo S. Sebastiano del Mantegna , la
statua di Antinoo, così perfetta che non avrei saputo fare di meglio e la Mensa
Isiaca ( una tavola d’altare di epoca romana con incisi geroglifici relativi al
culto di Iside ).
Fu
proprio l’importanza del Museo Bembo e il prestigio culturale del suo
proprietario a fargli ottenere la porpora cardinalizia, conferitagli da Papa
Paolo III Farnese che volle ridare prestigio alla Chiesa, sotto attacco da parte
del mondo protestante,nominando cardinali alcuni intellettuali di prestigio
internazionale. La nomina scandalizzò l’ala rigorista del collegio cardinalizio,
perché Bembo era stato l’amante di Lucrezia Borgia e aveva convissuto per
vent’anni con una donna che gli aveva dato tre figli: evidentemente gli scandali
sessuali sono uno dei pilastri su cui poggia da sempre la Chiesa cattolica.
Una volta nominato cardinale, Bembo visse il suo nuovo stato con
sincerità, avvicinandosi ad ambienti e personaggi che ricercavano il
rinnovamento della Chiesa, come Vittoria Colonna e Michelangelo, di cui c’è un
bel disegno di Cristo in croce, la cui postura torta deve aver fatto una grande
impressione sui Manieristi. Ah, dimenticavo: c’è anche un bel ritratto del Bembo
fattogli da Tiziano e il suo spettacolare busto di marmo, realizzato non ricordo
più da chi per la Basilica del Santo.
Una mostra magnifica. Usciamo poco prima dell’una, e piove. Massimo ci guida alla ricerca di un ristorante. Ne troviamo uno dove c’è posto e ci mettono in una saletta stracolma – ci accorgeremo poi che l’effetto è causato dal fatto che ognuno di noi appare almeno quattro volte negli specchi che la rivestono tutta. Dopo mezz’ora che aspettiamo, mandiamo Massimo, che sa la lingua, a sollecitare, e la cameriera arriva. Ordiniamo quasi tutti delle belle insalate, anche Rita che si era illusa di mangiare il baccala’ e nonostante la cameriera le abbia detto che non c’è, continua a chiederlo sperando che lei cambi idea.
Alle
due e mezzo usciamo per andare alla mostra di De Nittis. Piove, ma Padova è
bella lo stesso. Arrivati alla biglietteria della mostra cerco il bancomat e non
lo trovo. Vengo colta da tremenda agitazione. Rovescio la borsa e non c’è,
chiedo affannosamente il numero di telefono dell’altra mostra per vedere se mi è
caduto là e quando sto per bloccarlo finalmente lo trovo – sarebbe la seconda
volta che mi succede in un mese, voglio ritornare al baratto.
De Nittis io l’ho già visto a Barletta e a una mostra a Roma, ma questa è
la più completa, con molte tele esposte per la prima volta.
In una delle prime sale, una serie di bei paesaggi dipinti sull’Etna, che a una persona colta ( non io naturalmente, ma Anna Ch ) fanno venire in mente La Ginestra di Leopardi con quei campi cosparsi di ceneri infeconde e ricoperti dell’impietrata lava, dove s’annida e si contorce al sole la serpe e dove al noto cavernoso covil torna il coniglio. Patti mi dice che un giorno De Nittis si spostò da dove stava di solito a dipingere, e che quel punto franò improvvisamente. In quell’occasione il nostro scampò miracolosamente alla morte, che però lo colse prematuramente che non aveva ancora quarant’anni. Il successo di De Nittis fu duramente conquistato: orfano, viene cresciuto dai nonni, che ne osteggiano la vocazione per l’arte. Caparbio, riesce ad andare comunque a scuola di pittura a Napoli, poi si sposta a Firenze, dove incontra i Macchiaioli.
A 21 anni va a Parigi, dove incontra fortuna e amore e qui rimane fino alla morte, salvo qualche importante soggiorno a Londra di cui ci ha lasciato vedute bellissime. E’ un artista italiano e nello stesso tempo internazionale, che fa proprie le novità della pittura macchiaiola e poi degli amici Impressionisti, ma anche gli influssi dell’arte giapponese. Paesaggista raffinato, unico nel tradurre gli effetti e i contrasti di luce del suo paese natale come i cieli brumosi dell’Ile de France e le nebbie londinesi , è uno dei primi a sperimentare la tecnica del pastello nelle opere di grande formato. Molte tele sono vedute dipinte en plein air sulle rive della Senna o del Tamigi. Poi la vita frenetica dei boulevards, i divertimenti e il tempo libero nei grandi parchi, il vitalismo che si respirava nelle corse dei cavalli e negli altri luoghi della mondanità, assieme alla vita dei salotti à la page, primo fra tutti quello della principessa Matilde ( dove per altro la gente appare piuttosto annoiata ). A questa descrizione temo un po’ libresca aggiungo di mio che le donne dei molti ritratti della mostra appaiono tristi – che vita doveva essere quella delle donne a quei tempi! – e che in una saletta ci sono tre bellissimi De Nittis dipinti da Corcos – nel senso che sono stati a lungo attribuiti a lui erroneamente.
Alle quattro e mezzo usciamo e ci dirigiamo verso la stazione, dove salutiamo affettuosamente Massimo e ce ne andiamo col treno delle cinque e dieci. Viaggio in treno nella norma. A casa alle sette e mezzo. Una giornata bellissima, spero che piova ancora
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