IL DIARIO DI LAURA
Destinazione Sasso di S.Andrea
Partecipanti Alessandra,Anna Ch, Anna Po, Antonio, Cate, Iso, Laura, Patti, Rita, Sandro, Titti
Durata tre ore e mezzo
Alle nove meno un quarto alla Meridiana, tutti col nostro
bravo ombrello perché Sandro dice che probabilmente pioverà. C’è anche
Alessandra. Aiuto! Se lo avessi saputo, mi sarei portata i moon boots, perché
sicuramente oggi nevicherà. Ci siamo portati dietro anche da mangiare, perché –
dice il blog - faremo il picnic. Su istigazione di Alessandra , mandiamo tutti
gli uomini nella macchina di Sandro, così possiamo restare solo noi ragazze a
parlare di temi tipicamente femminili come letteratura, politica, cucina e quali
metodi adottare per salvare il mondo. Una bella fortuna, perché sapremo poi che
invece nell’altra macchina parleranno tutto il tempo di malattie e problemi
della prostata. Passiamo Ponte Rivabella, poi , via Montemaggiore , Castelletto
di Serravalle, ai calanchi di Ciano.
Il paesaggio è di un verde furibondo e dolci sono le colline, tutte rigate da
quelle che sembrano strisce di coca verde ( sì, mi rendo conto, è una metafora
ardita , ma mica posso ripetere che le vigne sembrano pettinature rasta ).
Arriviamo a Montombraro, ci fermiamo a comprare pane ( ottimo ), poi cominciamo
la passeggiata prendendo per via Lamizze. C’è il vento, ma l’aria non è fredda.
L’azzurro del cielo è interrotto solo da qualche nuvola bianca e leggera, ma
Sandro non vuole ammettere di aver sbagliato le previsioni e si intestardisce a
dire che metereologicamente la giornata è perturbata. Siamo nel modenese e Patti
, in preda ad attacchi ripetuti di campanilismo , ci stressa facendoci notare
che il verde è più intenso, le montagne più alte, i borghi più curati… Uffa. Ci
manca solo che dica che gli alberi sono più arborei e l’aria più aerea. Parliamo
della situazione economica e politica attuale ed emerge una certa triste
propensione a dargliela su, ma Patti ricorda che il compagno Lenin, rivolgendosi
a Rosa Luxemburg, disse che bisogna restare sempre sulla breccia. Sì, ma noi non
siamo la Luxemburg e vorrei vederlo Lenin ad affrontare la palude maleodorante
dei giorni nostri. Ci addentriamo in un boschetto, tutto pieno di maggiociondoli
che si stanno preparando a tramutarsi in giugnociondoli. Incontriamo il nucleo
dei Fontanini, che è tra quelli di maggior interesse storico e architettonico
della zona. A una prima casa torre è collegata una serie di fabbricati. Al
centro della corte, una costruzione che presenta finestre in arenaria di
notevole pregio artistico che risalgono al Cinquecento. L’alta torre
cinquecentesca che sovrasta il nucleo presenta un doppio ordine di apertura di
colombaia e un soffittino raffinato. Le finestre della torre, ora tamponate,
danno tutte sull’antica strada medievale. Proseguiamo e a un tratto ci compare
davanti Montecorone, molto scenografico, appollaiato sulla cima di una collina,
che coi suoi colori delicati risalta sul verde del paesaggio .Quando lo
raggiungiamo , decidiamo di visitarlo prima di mangiare perché è solo
mezzogiorno. Saliamo per le stradine che portano in cima alla collina, da cui
belle viste su un paesaggio dolce e vasto. Montecorone si trova all’interno del
parco dei Sassi di Roccamalatina. Il nome del paese, di cui si hanno notizie fin
dal 1254, deriva forse dal fatto che si trova in mezzo a una corona di monti. Il
borgo medievale è di notevole bellezza, con edifici in pietra decorati da
portali in arenaria e finestre ad arco a sesto acuto. In cima al paese c’è la
chiesa seicentesca di S.Giustina, che non visitiamo perché è chiusa. Peccato
perché la guida dice che l’interno è notevole. Una cosa interessante poi è che
un inventario del 1574 attesta la presenza di un ospedale per soccorrere infermi
e poveri. Ridiscendiamo verso l’area attrezzata per il picnic ma poco prima di
arrivarci, com’è come non è, otto di noi si infilano nell’osteria a mangiare
crescentine. Crescentine? Ci siamo dimenticati che nel modenese è così che
chiamano le tigelle? Comunque appena capiamo che le crescentine sono tigelle ,
ci adattiamo molto velocemente alla nuova prospettiva e ordiniamo grandi
quantità di pesto e nutella, oltre all’affettato. Entra Isora, che era rimasta
fuori a mangiarsi il suo panino, e si accende una discussione animata fra lei e
Antonio e dai cordoni sul collo di lei si capisce che è piuttosto alterata. Qual
è la ragione del contendere? La politica? I diritti civili? La pace nel mondo?
No, chi abbia inventato le tigelle-crescentine. La signora porta in tavola
l’oggetto del contendere, e sono molto buone. Il vino è discreto e il conto
onestissimo: nove euro a testa. Oggi la signora non ci poteva fare i borlenghi,
perché richiedono molto tempo. Comincerà a farli in ottobre, e Sandro ci
promette che ci riporterà qui quando sarà il momento. Finito di mangiare ci
avviamo verso il Sasso di S.Andrea, una scarpata strapiombante di oltre 20 metri
di altezza, costituita da grosse bancate di arenarie ( sabbie ) della stessa
natura di quelle dei Sassi di Roccamalatina, formatesi nel bacino di un antico
mare circa 25 milioni di anni fa. La parte in alto, più cementata, è sporgente
rispetto la parte basale incavata. Alla base della scarpata, una frattura ha
facilitato l’erosione da parte del corso d’acqua, il Fosso Livia. L’ambiente
rupestre offre riparo a diverse specie di falchi e rapaci notturni e in alcuni
mesi dell’anno non è consentito salire sul Sasso per evitare di disturbare la
nidificazione. Arriviamo senza fatica in cima al Sasso, spazzato dal vento e
circondato da un bellissimo paesaggio. Ci spalmiamo creme solari e ci stendiamo
a prendere il sole e a dormicchiare. Patti si mette a individuare le varie
sfumature di verde, e ne conta 14 – niente a confronto con l’Irlanda che ne
vanta 42, ma siamo sulla buona strada, se il maltempo continua ad assisterci. La
pace di questo luogo bucolico – in basso si vede anche un gregge di pecore –
viene squarciata da un’orda urlante di bambini delle elementari, guidati da un
insegnante che urla più di loro. Per fortuna quest’ultimo esaurisce presto le
informazioni da dargli e se li riporta via. Prendiamo la strada del ritorno. Al
primo incrocio, invece che a destra da dove siamo venuti, prendiamo a sinistra.
“Questa strada si ricongiunge con quella da cui siamo partiti? “, chiede
qualcuno. “ Può darsi” risponde la nostra guida. Sono queste le incertezze che
rendono Sandro così umano, e noi così preoccupati. Il sentiero ci porta in basso
ai piedi del sasso, che precipita a valle molto scosceso. All’incrocio ci
fermiamo a parlare con la vecchia signora che incontriamo qui tutte le volte che
passiamo . Ma una casa, ce l’avrà? Oltrepassiamo una villa con una serie di
vasi esterni sovrapposti che contengono piantine di vario tipo. Da uno spuntano
dei bei fragoloni rossi . Come mai non li hanno ancora rubati? “Sicuramente sono
collegati al sistema d’allarme”, dice Anna C. Dopo il borghetto prendiamo a
destra. La strada sale e dopo un po’ sulla destra – meraviglia delle meraviglie
– vediamo il Cimone e il Cusna ancora innevati. Verso le quattro siamo di nuovo
a Montombraro, ubriachi di sole, di vento e di luce. Ci beviamo birra e gazosa e
poi via verso casa.