Il Diario di Laura
Merc 19 nov 2008
Destinazione Campolo – Montovolo
Partecipanti Anna Po, Cate, Iso, Laura, Patti, Sandro, Dani, Regina. Oggi mancano Carla e Isa, che sono la fonte principale delle battute dei miei diari, quindi vi avverto che oggi verrà fuori uno schifo.
Durata tre ore
Alle
8.45 da Cate. Il cielo è di un bel grigio intenso, uniforme
e senza speranza.
Sandro dice che, se vogliamo il sole, dobbiamo andare sopra i 1700 metri, al
Cimone per esempio. Siccome ci sembra un po’ lontano, decidiamo per Campolo. Ci
fermiamo al Jakarta per fare colazione e Sandro si nasconde e poi salta fuori
facendo “ cucù”, cercando di imitare l’inimitabile, il grande statista che regge
le sorti del nostro paese e che ieri ha fatto lo stesso con Angela Merkel. Si
dice che abbia già comprato uno stronzo di plastica e due cuscini di quelli che
quando ci si siede scoreggiano, in previsione del prossimo incontro fra capi di
stato.
Dopo Vergato prendiamo per Campolo. Durante il tragitto, parliamo della
vecchiaia e degli acciacchi ad essa connessi e facciamo una casistica esaustiva
dei vari tipi di badante. Allegria !!!
A Campolo ci fermiamo al ristorante sulla curva per chiedere se ci fanno da
mangiare a
mezzogiorno,
ma dicono di no. Almeno un toast? Neanche quello, pare che abbiano paura che gli
attacchiamo la lebbra. Andiamo verso il ristorante Anna.
E’ chiuso per turno, ma fortunatamente un passante si offre di chiamare il
proprietario, che compare alla finestra ed accetta di farci da mangiare per
pranzo. Prima di iniziare la passeggiata, il solito balletto angoscioso: che
scarpe mi metto? Solo io e Regina ci salviamo, dato che ne abbiamo un paio solo.
Arriviamo alla chiesa di Vigo, e ci fermiamo a guardare il Sasso che incombe,
bello e minaccioso ma di salirci su non se ne parla neanche. E mentre
raccogliamo i funghi, il sole sgomita fra le nuvole e noi tutti tifiamo per lui,
capace che ce la fa ad uscire. Andiamo verso le Lastre . Ci fermiamo a una casa
a parlare con una coppia di anziani che ci sconsigliano di proseguire perché c’è
una battuta di caccia al cinghiale. Lui è gentile e ciarliero: ci informa fra
l’altro che stanno ingrandendo il cimitero lì vicino con tanti ‘monolocali’ e
poi ci invita a prendere il caffè. Ma dobbiamo rifiutare perché al ristorante ci
aspettano e non vogliamo fare tardi.
Intanto la battuta è finita e i cacciatori stanno ritornando – hanno ucciso un
cinghiale e si apprestano a tirarlo su con delle corde. Salutiamo e ci avviamo
per il sentiero con le mani alzate, che non gli venga in mente di spararci.
Intanto il sole ha vinto la sua battaglia con le nuvole, il cielo si sta
schiarendo e alla fine, incredibile, diventerà tutto azzurro.
Il sentiero si fa presto scosceso, i rami spinosi ci si aggrappano cercando di
trattenerci e le foglie coprono subdolamente le buche del terreno. Avvisto due
grosse mazze di tamburo, le vedo solo io che sono cecata, mentre gli altri sono
occupati a cercare i funghi più piccoli che io non vedrei. Cate le raccoglie ma
le sfuggono e rotolano giù. Le recupera e dopo un po’ qualcuno le chiede: “ Hai
messo la mazza nella borsa di plastica?”. “ Si chiama preservativo “,
puntualizza Sandro.
Entriamo nel bosco. Chiedo a Patti come lo si potrebbe descrivere nel diario, e
lui suggerisce di dire che è un sentiero fiancheggiato da alberi da tutti e due
i lati. Sconsolata, ne parlo con Sandro e concordiamo che è bucolico, che ti
aspetti di veder comparire da un momento all’altro un satiro che insegue una
ninfa, così ci mettiamo a canticchiare la Sesta di Beethoven.
All’una e mezzo siamo al ristorante. Ordiniamo crostini e bis di minestre. Ma
Anna vuole solo i tortelloni e Cate è troppo creativa per accettare il menu così
com’è, quindi fa scambiare i condimenti dei suoi due primi, gettando il
cameriere nella più grande confusione. Ma anche noi non abbiamo le idee molto
chiare, così Isora richiama il cameriere e gli chiede: Cosa abbiamo ordinato?
Finito di mangiare – e siamo rimasti contenti – ci sediamo un po’ al sole ad
allucertolarci, poi andiamo in macchina a Montovolo. Parcheggiamo poi prendiamo
il Sentiero della Memoria che va a destra verso il basso e che si dimostra
subito impervio e pieno di rovi e dopo tre minuti ci riconduce di nuovo alle
macchine. E’ stato breve ma intenso, dico io.
Prendiamo il sentiero in direzione del Santuario di Montovolo e della chiesa di
S Caterina d’Alessandria, esempi interessanti dello stile romanico diffuso
sull’Appennino, costruite da maestri comacini lombardi provenienti dalla
Toscana. La chiesa dedicata a S. Caterina – che noi visiteremo per seconda
perché è quella più in alto, ma nella guida da cui sto copiando viene per prima
- fu voluta dai crociati bolognesi di ritorno da Gerusalemme, i quali
probabilmente intravidero una somiglianza fra le due cime del Monte Sinai e
quelle del Monte Vigese e di Montovolo. Di qui la decisione di costruire una
chiesa che ricordasse , nella posizione e nella dedicazione, la conquista del
Sinai. I maestri comacini operavano a Pisa, ed è probabile che i crociati
bolognesi abbiano visto le loro opere, essendo Pisa porto d’imbarco per la
Palestina. La primitiva chiesa del Santuario – che incontreremo per prima -
sorse prima del Mille su un preesistente tempio pagano e l’attuale è il frutto
di una ricostruzione degli inizi del secolo XII , mentre la torre campanaria è
dell’Ottocento. Sotto l’edificio ci sono i resti di una cripta a tre absidi -
ciò che rimane della primitiva chiesa, con bei capitelli con figure vegetali e
animali. Semplice la facciata, con un portico che fiancheggia il lato
settentrionale della chiesa.. L’interno è a una sola navata, con pareti
affrescate con figure di santi. Addossata alla parete dell’abside, la venerata
immagine della Madonna nera, statua lignea policroma. Visitare questa chiesa è
stato un colpo di fortuna, eravamo venuti qui altre volte senza mai poterla
vedere, ma stavolta un signore gentile l’ha aperta solo per noi. Finita la
visita delle due chiese,ci fermiamo a guardare il bel paesaggio dal Balzo di S.
Caterina poi torniamo indietro per un sentiero con i cippi che ricordano i
ragazzi del Salvemini. Al ritorno, in macchina mi addormento, mentre gli amici
chiacchierano, creando un gradevole rumore di sottofondo.
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