Il Diario di Laura
Mercoledì 18
sett ‘08
Percorso vagabondaggio nella valle del Rio Mescola – Castel del
Rio
Partecipanti Cate, Carla, Iso, Alba, Regina, Laura, Patti, Sandro,
Massimo
Durata due ore e 55 minuti – che culo, mi sono salvata per
miracolo,
perché l’ortopedico mi ha proibito di
fare passeggiate di tre ore!!!
Tempo anche troppo bello - nel senso che si sudava, nonostante
la stagione avanzata
Alle nove e
un quarto all’uscita dell’autostrada di Castel S: Pietro, per incontrarci con
Iso che fa le cure termali. Patti, Iso e Massimo schizzano via a mettere la
macchina in un parcheggio lì vicino; ma dopo poco ecco che ritorna con la sua
Massimo , che è il più sveglio e si è reso conto che una seconda macchina ci è
necessaria.
Sandro è lì tutto avviluppato nelle cartine e, quando gli chiediamo dove si va,
dice che non lo sa. Speriamo bene.
Arriviamo a Dozza, ma senza entrarvi. Prendiamo una strada in salita, arriviamo
a un crinale e poi facciamo dietro front. Noi della seconda macchina non
sapremo mai perché. Torniamo a scendere, e percorriamo la Val Sellustra,
attraverso un paesaggio che ci è familiare, quello delle calancate organizzate
da Enzo. Ricominciamo a salire. Attraversiamo prati punteggiati da una gran
quantità di mucche chianine(in realtà è razza romagnola – ndr) che brucano
pazientemente l’erba secca e, mentre passiamo, facciamo un rapido conto di
quante bistecche se ne possono ricavare.
Parcheggiamo in una posizione sopraelevata, da dove si domina una vista molto ampia di bellissimi calanchi che sembran fatti di seta cangiante dai colori tenui , in cui predominano il rosa e il grigio – azzurro.
Alle dieci e mezzo inizia la passeggiata. Alba è tutta sbracciata e scollata, qualcuno dovrebbe dirle che l’estate è finita. E comunque dovrebbe capirlo da sola, guardando me e Carla che abbiamo il giubbino.
Per un bel tratto seguiamo una larga carrareccia bordata di rovi pieni di more passite,senza un filo di succo, disdegnate perfino dagli uccelli.
Isa non c’è perché è inciampata e, nel nobile tentativo di salvare il cellulare che aveva in mano, è caduta sul naso, che adesso è tutto tamponato e steccato.
Le mando un messaggio dicendole quanto ci manca, e lei risponde promettendo che presto potremo vedere quel che resta di lei.
Prendiamo un sentiero il cui unico segnale sembra fatto di fresco. E’ tutto punteggiato di crochi bianco – azzurri, una bellezza; però è ingombro di erbacce e di rovi che continuano ad allungare i rami per cercare di fermarci e quando si restringe a una striscia di terra dall’aspetto friabile che sprofonda con una pendenza del 70% - forse un po’ meno, ma mi piace creare un po’ di pathos – e sulla destra dirupa giù pericolosamente, e Alba dice che lei non va più avanti, Sandro decide di tornare indietro, tanto ormai si è rassegnato all’idea che si porta dietro il Cottolengo.
Ritorniamo alla carrareccia e ripercorriamo la strada dell’andata. Intanto il sole si è incattivito, e si suda. A un certo momento vediamo un albero gigantesco che proietta una bellissima ombra, e ci sembra l’ideale per fermarci a mangiare, dato che è l’una.
Ma quando saremo lì capiremo che all’ombra fa troppo freddo, e ci siederemo al sole. Massimo non si è portato dietro niente da mangiare – nessuno gli aveva detto che da un pezzo non andiamo più al ristorante, che se lo avesse saputo magari non veniva.
Però gli diamo qualcosa noi, e poi ci sono le crescentine – che Sandro si ostina a chiamare “ gnocche”, non so perché - che sono rimaste da ieri sera, quando abbiamo festeggiato i 60 anni di Anna M al Centro Sociale. Sandro si è portato dietro un ottimo Nero di Avola, di cui berrò la parte mia e quella di Patti, per finirlo poi quando, a forza di stare sotto il sole cocente, è diventato brulè.
La storia d’amore di Campana e dell’Aleramo ci ha molto colpito, e Regina si è portata dietro un libro con le lettere che si scambiarono. Ne leggo a voce alta una molto appassionata di Sibilla, e Patti mi rimprovera perché non gli ho mai detto parole così. Sì, volevo vederlo, se lo apostrofavo con “ Dino, Dino, Dino”. Poi continua Carla a leggere, e tutti ascoltiamo in religioso silenzio.
Descrivendo il paesaggio, Campana usa spesso la parola “ velluto “. Ma perché lui può e io no?
Ho una gran sete e l’acqua scarseggia, chi poteva immaginare che avrebbe fatto ancora così caldo? Ciononostante Patti me ne consuma metà bottiglietta per fare un acquerello. La prossima volta mi scelgo uno che dipinga ad olio. Torniamo alle macchine e ci dirigiamo verso Castel del Rio. Attraversato il Santerno , il paesaggio non è più brullo, ma di un bel verde smagliante. Arrivati a Castel del Rio ci prendiamo chinotti e gelati, poi ci avviamo verso il ponte a schiena d’asino.
Arrivati al fiume, che si allarga in una pozza calma, verde e trasparente, piena di pesci grandi e piccolissimi, quasi tutti si levano le scarpe e mettono i piedi a bagno. Patti è la prima volta che viene qui, ne è incantato e ne approfitta per rimproverarmi di non avercelo portato prima.
Sandro dice che sta diventando autista. Faccia pure, a noi non importa se scarrozza la gente in giro, l’importante e che non diventi autistico, che non si richiuda in se stesso lasciandoci fuori.
Ci avviamo sul ponte e, vedendo arrivare una macchina, corriamo su sperando che quando arriva alla sommità rimanga lì a basculare. Ma no, è una macchina alta e passa senza problemi.
Al ritorno Sandro prende una di quelle scorciatoie che gli piacciono tanto perché allungano il percorso. Noi ce ne accorgiamo, ma non ce ne lamentiamo perché ci siamo ormai abituati. A casa alle sette.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|