Aborto del Sentiero Romeo Nonantolano, con
assenza segnali all'altezza della nuova tangenziale.
Poi da Marano su asfalto a Rodiano, poi su sterrata-misto fino a Denzano .
Quindi discesa su strada asfaltata lungo la valle del torrente Faellano
Merc 10 febb ‘09
Percorso Castelfranco – Romea Nonantolana – Marano – Rodiano – Denzano
Partecipanti Cate, Isa, Iso, Gio, Dani, Alba, Sandro, Regina, Laura
Durata Quattro ore e mezzo
Lunghezza 14 chilometri e mezzo
Alle nove meno
un quarto da Cate. Partiamo con due macchine, ci fermiamo alla Muffa per fare
colazione e lì io ed Alba ci azzuffiamo su chi deve andare in macchina con chi.
Gli altri si preoccupano un po’, ma noi facciamo subito la pace, perché stanotte
andremo a rubare insieme, come i ladri di Pisa.
A Castelfranco, appena scendiamo veniamo travolti da un vento gelido. I
rari passanti ci guardano stupiti, probabilmente è la prima volta che un gruppo
di escursionisti passa di qui. Ci avviamo alla ricerca della Romea Nonantolana
perduta.
Il sentiero tergiversa, andando qua e là, preferibilmente parallelo a una
strada di grande traffico, poi si estingue contro un terrapieno. Torniamo
indietro per vedere dove abbiamo sbagliato e poco a poco ci ritroviamo alla
macchina. Sono le 11 e per quanto mi riguarda, dato che abbiamo già camminato
per tre quarti d’ora, potremmo anche andare al ristorante. Ma Sandro non è
d’accordo. Saliamo in macchina, partiamo e noi, nella macchina di Gio, ci
accodiamo, tallonando gli altri. Per un po’ non riusciamo a capire dove stiamo
andando- ma non lo sa neanche Sandro, si intuisce dalle luci dei freni che si
accendono in continuazione nella strada deserta. Ci dirà poi che stava cercando
di intercettare il sentiero. Ma la ricerca finirà nell’aia di una casa dove ci
arrendiamo, cambiamo itinerario e ci dirigiamo verso Marano.
Il tempo è quasi bello – e pensare che il nostro metereologo preferito aveva
detto che avrebbe anche potuto nevicare.
Ci fermiamo un po’ prima di Marano per decidere dove andare tenendo conto del
fatto che chi non ha male alla schiena ha male alle ginocchia oppure al nervo
sciatico. Il sentiero lungofiume è tutto infangato e quindi impraticabile, così
optiamo per Rodiano. A Marano parcheggiamo e iniziamo la passeggiata. E’ quasi
mezzogiorno.
La strada asfaltata sale molto dolcemente, per rispetto verso le nostre schiene,
gambe e ginocchia dolenti. Il paesaggio sulla sinistra è punteggiato di piccoli
stagni che – dice Sandro – servono per far fare il surf alle mucche.
A destra delle cime innevate che dirvi non so e, sullo sfondo, le Alpi. C’è un
sole caldo e, nelle zone sottovento, ci copriamo di un velo di sudore che
ghiaccia rapidamente non appena entriamo in una zona esposta al vento.
Alba ha preso un appuntamento con la dietologa e questo la fa sentire con la
coscienza a posto, così oggi a tavola potrà strafocarsi in pace. Ha delle idee
strane sull’alimentazione, secondo lei “ colazione bilanciata”, significa aprire
le braccia con un bombolone in una mano e una brioche nell’altra e dondolarli.
Sandro fa l’asino, facendo profferte amorose a destra e a manca. Un giorno gli
diremo di sì per il piacere di vederlo scappare come un leprotto. Poco dopo
l’una siamo seduti al ristorante di Rodiano dove, in attesa del primo,
inganniamo il tempo spalmando il lardo delle tigelle sui grissini, rotolandoli
poi nel parmigiano . Finalmente arriva il bis di maccheroni al torchio e
tortelloni, e sono buonissimi. Poi gnocco, tigelle, coniglio. Sparliamo di
tutti, tutti i nostri colleghi.
Quando lo racconteremo ad Anna Mod, e lei ci chiederà “ Anche di me?”, dovremo
ammettere che purtroppo di lei no, ce ne siamo dimenticati..
Alle tre paghiamo – 17 euro, un prezzo veramente onesto.
Prendiamo per Denzano, che dista due lunghi chilometri – lunghi nel senso che
più camminiamo più lui sembra allontanarsi. Alla fine però ci arriviamo. Il
paese sembra disabitato, ma ci accoglie un botolo che ringhia e strepita
avanzando minacciosamente verso di noi. Ci stringiamo a coorte e avanziamo
cantando a squarciagola il De Guello e finalmente si allontana.
La chiesa ha una bella abside del XII secolo, che somiglia a quella del Duomo di
Modena, fatta probabilmente da un allievo di Lanfranco. E di fronte c’è una
torre del Trecento. Ci sediamo un po’ al sole e Sandro si mette per conto suo
perché – dice – vuole recuperare la sua mascolinità, che se no va a finire che
comincia a parlare in falsetto.
Per tornare alle macchine prendiamo una strada interrotta al traffico, ma ci va
fatta bene, perché incontreremo solo piccole frane per niente pericolose.
Arrivati sul fondovalle, sulla sinistra bei calanchi e una strana parete con
scanalature bucherellate che capiremo poi essere una cava. A casa alle sei e
mezzo. Quando arrivo scopro con raccapriccio che Patti non c’è, e io ho
dimenticato le chiavi. Passeggio avanti e indietro nervosamente per un’ora, poi
finalmente arriva. E’ andato a consegnare un quadro - o almeno così dice.
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