10 aprile 2025 – ozzano – sant’andrea – calanchi
della badessa
IO ZOPPISSIMO – MA A
SOLO MANGIARE AL CIRCOLO ARCI DI SAN LAZZARO ERAVAMO IN 6!
I CAMMINANTI HANNO FATTO
UN ANELLO DA OZZANO NEL PARCO DEI CALANCHI DELLA BADESSA, PASSANDO DALLA CHIESA
DI SANT’ANDREA, FAMOSA PER LA LEGGENDA CHE VI RIFERISCO QUA SOTTO
DISTANZA 12,5 Km DISL 300m
Chiesa di Sant’Andrea
Situata in località omonima nel comune di Ozzano Emilia,
questa piccola chiesa risale al XI secolo. Fino al 1149 la chiesa di
Sant’Andrea appartenne ai monaci camaldolesi dell’Abbazia di San Michele
Arcangelo di Castel de’ Britti; poi la chiesa passò in possesso delle monache
del medesimo ordine, del Monastero di Santa Cristina di Stifonte. Nel 1158 le
suore si trasferirono nel caseggiato annesso alla chiesa di Sant’Andrea e da
qui, nel 1245, in quello di Santa Cristina della Fondazza di Bologna, loro casa
madre. La chiesa però, retta da un cappellano, continuò ugualmente ad
officiare.
La chiesa ospita le spoglie della Beata Lucia di Settefonti
e le catene che tennero prigioniero il giovane cavaliere Diotagora Fava in
Terrasanta, cavaliere da lei salvato miracolosamente.
La leggenda dell’Abadessa
pubblicato il 7 Novembre 2018Tracce di storia
Il miracolo dell’acqua e l’amore impossibile per un cavaliere di ventura
prigioniero in Terra Santa nella storia della bella Badessa, Lucia da
Settefonti, vissuta nel XII secolo e beatificata nel 1508, da cui ha preso il
nome il parco alle porte di San Lazzaro. Nella chiesa di Sant’Andrea le
reliquie della Santa e del Crociato
di Ines Curzio
(pubblicato nel numero uscito nell’autunno 2009)
Attorno al 1100 nacque nell’antica
famiglia Chiari a Bologna, una bambina che divenuta una
splendida ragazza, maturò il desiderio di dedicare la vita alla preghiera,
scegliendo di vivere nel monastero di Stifonti (oggi Settefonti), fondato nel
1097, divenuto in seguito monastero Camaldolese proprio grazie alla futura
Badessa Lucia. Intanto la fama della sua bellezza aveva raggiunto il
circondario e la voce si sparse anche fra le tante guarnigioni che presidiavano
il territorio di Uggiano (Ozzano).
Tra i militi vi era un soldato di ventura, il nobile bolognese conte e
cavaliere Diatagora Fava che con molta probabilità aveva incontrato la
fanciulla prima ancora che prendesse i voti; questi si fece trasferire proprio
nella guarnigione di San Pietro (oggi San Pietro di Ozzano) per poter rivedere
Lucia.
Il bel cavaliere percorreva a
cavallo ogni mattina il sentiero sui calanchi, per recarsi alla chiesa del convento. Da qui il nome calanchi e passo
dell’Abbadessa. Lucia si era accorta di questa costante presenza e presto
si trovò a combattere il turbamento con assidue preghiere, veglie e penitenze
che minarono la sua salute. Cadde ammalata, ma il cavaliere non cessò le sue
visite mattutine. Una volta guarita sembra che con la complicità di una suora
riuscì a parlargli. Il suo sentimento per l’amore divino era più forte di ogni
altro sentimento terreno ed era risoluta nella sua dedizione alla vita
monastica; lo invitò a non tornare più, ma si lasciarono con la promessa del
cavaliere di partire crociato per la Terrasanta. Così fece, mentre Lucia,
minata dalla malattia, si spense intorno al 1157 già in aria di santità. Il
cavaliere durante le Crociate fu ferito e rinchiuso in una cella dove una
notte, in preda alla febbre, vide Lucia che gli tendeva la mano e, come in
sogno, lo trasportava nella foresta di Stifonti nei pressi del Monastero. In
cambio di questa grazia, secondo il messaggio della Beata, il cavaliere avrebbe
dovuto lasciare i ferri con cui era legato in prigionia sulla tomba di lei.
Risvegliatosi il cavaliere si ritrovò effettivamente presso il convento, lo
raggiunse e inginocchiatosi davanti alla tomba dell’amata lasciò lì i ferri e
pianse. In quel momento le sette fonti di acqua miracolosa che si erano seccate
alla morte di Lucia, ripresero a zampillare copiosamente.
Questo fatto fu raccontato per la
prima volta dal cavaliere stesso e l’eco del miracolo si
estese in terre ben lontane dalla vallata, per giungere fino in Germania. Solo
nel 1508 la Chiesa riconobbe ufficialmente il fatto accaduto tre secoli prima e
proclamò Lucia beata. Le reliquie della Santa rimasero nella chiesa già
denominata comunemente Santa Lucia in località Settefonti fino al 7 novembre
del 1573 quando il Cardinale Paleotti le traslò nella chiesa di S.Andrea di
Ozzano dove giacciono tutt’ora assieme ai ferri con cui il cavaliere era tenuto
prigioniero, visibili in una teca sul piccolo altare a lei dedicato e dove è
possibile ammirare la bellissima pala trecentesca raffigurante la Beata. I
Camaldolesi la venerano come fondatrice del ramo femminile dell’ordine.
Della Beata Lucia purtroppo non
restano manoscritti originali, bruciati tutti in un incendio
che devastò l’archivio dell’allora Chiesa di Santa Lucia, ma accurate ricerche
nell’archivio storico di Camaldoli, (dove è possibile consultare una nutrita
documentazione manoscritta conservata grazie all’accurato lavoro del Monaco
Anselmo Costadoni) hanno permesso di risalire ad un formulario dettato dalla
Beata Lucia ad una consorella in estasi durante la prima sagra istituita
all’inizio del ‘500, sagra che ancora oggi si festegga annualmente la terza
domenica di maggio. E’ da questo formulario, che nasce il musical pop lirico
“Il Segreto delle Sette Fonti”, la più recente fra le trascrizioni musicali che
narrano la storia della Beata. Altre composizioni risalgono al XVIII e XIX
secolo. Le sette fonti citate nel formulario vengono sublimate ai sette doni
dello Spirito Santo. Ogni fonte d’acqua miracolosa è cura per il corpo e per
l’anima e corrisponde ad una delle virtù per giungere alla grazia e all’unità
con Dio. Svelato il mistero delle fonti d’acqua non resta che accogliere il
grande messaggio di fede contenuto nel formulario: l’amore di Dio che è in
tutte le cose e che ben si può rimirare in questo angolo d’Italia, dove la
natura incontaminata e la bellezza del paesaggio si uniscono alla storia
regalandoci un patrimonio culturale e spirituale fra i più belli del nostro
Paese.