Il diario di Laura
DIARIO DI IBIZA
Viaggio organizzato dalla San Dron Tour
Partecipanti Anna Ch, Alba, Carla, Claudio, Dani, Gianni, Gio, Laura, Margherita, Mariella, Maurizia,
Isa, Mara, Patti, Luisa, Sandro, Sonia, Rita, Titti, Tamara
5 maggio 2010
Alle undici e mezzo passa
a prenderci il marito di Anna per accompagnarci all’aeroporto. C’è anche Mauri,
una delle mie cognate preferite ( vorrei dire la preferita, ma temo che le altre
si offendano). Dice che ha saputo che Ibiza è il Paradiso della coca e dei
trans. Che non sia venuto il momento di farsi l’esperienza!, dice Anna –
speriamo che non si riferisca ai trans. Arriviamo in aeroporto con largo
anticipo, e per di più l’aereo è in ritardo di mezz’ora. Quando finalmente ci
mettiamo in fila al gate, un signore urta una signora platinata che reagisce
con un colpo d’anca violento. Ma si tolga dai piedi, urla lui incazzato roteando
il braccio destro con aria minacciosa. Maleducato, ringhia lei. In quella
interviene un signore che sta facendo compostamente la fila “ Ma lasciate stare!
“, dice con aria conciliante. Ah, dimenticavo di dire che i due litiganti erano
Mara e Gianni.
L’aereo decolla e ci troviamo a volare sopra dei grandi ammassi di cotone
idrofilo che poi si trasformano in frullato di cotone idrofilo e a questo punto
non si vede più niente. Ma l’aereo ce l’avrà il radar, se lo saranno potuti
permettere coi prezzi che pratica la Ryanair? C’è molta turbolenza, sembra di
essere in autobus e io non riesco a scrivere il diario per via degli scossoni e
questo mi allarma, il che si unisce all’allarme generale che mi prende sempre in
aereo perché non so come faccia a stare su. Dall’altoparlante cominciano a
martellarci cercando di convincerci a comprare cibi , bevande e gratta e vinci
presentandoli come squisiti, fantastici, deliziosi, meravigliosi e stupendi. Ci
sono anche sigarette senza fumo, che costano SOLO 25 euro al pacchetto.Ma noi
non ci caschiamo – che brutto verbo da usare mentre si sta volando in aereo! –
neanche quando ci dicono che sovvenzioneremmo delle opere di carità – per altro
le fondazioni che citano sono sconosciute.
Sandro ci dice di prepararci a dividerci in nove camere doppie, più due
singole. E di lui che cosa facciamo? Ce lo tiriamo a sorte? Tramontata questa
ipotesi, gli diciamo di scegliere lui con chi dormire. Ma lui, che si ricorda
del casino creato da Paride nell’occasione che diede poi origine alla guerra di
Troia, si rifiuta di farlo e quindi gli assegnamo una delle due singole.
Durante il volo rendo edotta Mauri del nostro Decalogo, così che non
commetta errori: 1) Sandro è la nostra guida 2) non avremo altra guida
all’infuori di lui 3) onora Sandro e le sue scelte, e così via fino al decimo
punto. Con mezz’ora di ritardo atterriamo a Ibiza.
Dice la guida che quest’isola
riesce a sedurre tanto gli amanti della vita notturna quanto i viaggiatori in
cerca di riposo. La mentalità qui è aperta e nei mesi estivi diventa il centro
della scena notturna mondiale; ciò nonostante l’isola è ricca di insenature
ancora inviolate, paesaggi incontaminati e villaggi caratteristici
nell’entroterra dove la vita ruota attorno alle tradizioni rurali. Ibiza si
trova a circa 80 km dalla Spagna, e ha una popolazione di circa 115 mila
abitanti – in estate ci sono quattro turisti per ogni abitante, di cui quasi 40
mila vivono a Eivissa . Il clima è quello mediterraneo, con circa 300 giorni di
sole ogni anno. Ibiza è famosa per gli hippy, che negli anni sessanta arrivarono
a migliaia e alcuni si sono trasferiti qui. Il bagno nudi è praticato con
entusiasmo in molte spiagge e l’abbronzatura integrale, permessa a Es Cavalet e
Aigues Blanques, è tollerata nelle spiagge più appartate. Ci sono sette enormi
locali notturni ultramoderni e molte gallerie d’arte, perché la luce e il
clima attraggono gli artisti. L’acqua del rubinetto è molto salata, e quindi non
potabile ( era meglio se la guida la leggevo prima) ma non è un problema perché
quella minerale è economica ( euro 3.50 per mezzo litro). L’eivissenc, il
dialetto locale del catalano ( che ha caratteristichre comuni al francese e allo
spagnolo ) è la lingua che più si sente parlare nelle zone rurali, ma nelle
città e nei resort è più comune il castigliano. Ci sono molteplici Ibiza,
continua la guida, una diversa dall’altra. Eivissa, il capoluogo, ‘contiene’ più
città: quella antica di Dalt Villa e la necropoli cartaginese, la parte vicino
al porto riservata allo shopping e la zona nuova dove i negozi e i caffè si
mischiano agli uffici. Il turismo di massa ha portato alla costruzione di grandi
hotel sulla spiaggia, a danno dall’ambiente, ma a pochi minuti a piedi da queste
aree ci sono belle insenature incontaminate. C’è poi l’entroterra di Ibiza coi
suoi villaggi rurali dove si possono vedere case bianche a forma di cubo, donne
che indossano scialli neri e zone montuose – si fa per dire, la cima più alta
non raggiunge i 500 metri – dalla folta vegetazione, fiori caratteristici e
uccelli di specie rare ed esotiche. E con questo si conclude il mio tentativo di
acculturarvi. Appena sbarcati, andiamo a prendere la macchina che Sandro ha
noleggiato per farci da supporto e poi, chi in macchina chi in taxi, arriviamo
in albergo e prendiamo possesso delle nostre stanze . Io e Patti - perché sì, è
lui che ho scelto per condividere la a stanza – ne abbiamo una con vista sul
muro bianco del caseggiato di fronte, ma chi ha la vista mare dice che ne
possiamo usufruire dietro modesto compenso.Alle cinque e un quarto usciamo e ci
fermiamo subito incantati a guardare il mare, di un colore così intenso che solo
l’azzurro del cielo può stargli alla pari. Cominciamo a salire per visitare la
città vecchia di Eivissa. Alzando lo sguardo si vedono due mulini a vento. Che
due pale!, dice Gianni. Le mura racchiudono negozi e ristoranti, praticamente
tutti chiusi, e numerosi musei – che evitatiamo con cura . Prima di arrivare
alla cattedrale il gruppo si suddivide in molti rivoli perché qui , appena uno
prende a caso una direzione, subito due o tre lo seguono meccanicamente. La
cattedrale sorge sull’antica sede di un tempio romano e poi di una moschea
moresca. Si pensa che i romani abbiano scelto questo luogo perché già occupato
da un tempio cartaginese, quindi è destinato al culto da almeno 2500 anni. Con
la cacciata dei mori venne costruita una chiesa gotica con un bel campanile in
stile italiano. La chiesa fu completata in gran parte entro la fine del
Trecento, anche se le modifiche apportate nel Settecento hanno conferito
al’interno uno sgargiante stile barocco. La cattedrale è dedicata a Santa Maria
delle nevi. Proprio nell’isola più calda d’Europa? Sì,perché nel calendario
spagnolo la festa di S.Maria delle Nevi è quella che cadeva più vicino alla data
in cui i cristiani strapparono l’isola ai Mori. L’Unesco ha dichiarato le mura
della Città alta patrimonio dell’umanità, perché sono uno dei migliori esempi
di architettura militare medievale. Le mura risalgono al Cinquecento, quando
Carlo V rinforzò le difese dell’isola contro i pirati turchi.
La
città vecchia è tutta pavesata con festoni multicolori, in preparazione alla
grande festa che qui hanno deciso di fare non appena ce ne andiamo noi. Le
stradine sono strette e serpeggianti, le case bianche – sembra di essere a
Ischitella, dice Sandro. Ci prendiamo un gelato, oltrepassiamo due begli alberi
pieni di mandarini- che per loro fortuna non sono commestibili - e poi tutti i
rivoli si ricongiungono a valle, davanti al museo di grafica dove pensavamo di
trovare esposte le opere della nuora di Tamara. Ma non ci sono.
Prima di arrivare lì, passiamo davanti a uno dei Parador – antichi
edifici trasformati in ristoranti e gestiti dallo stato – che offre un pranzo
completo a 45 euro, naturalmente escluse le bevande, e ci spaventiamo
moltissimo. Isa e Sandro tornano in albergo a prendere la macchina e ci diamo
appuntamento alla Plaza de Parc alle otto. Scendiamo ancora e passiamo fra
ristoranti che espongono prezzi molto allarmanti. Telefoniamo al Casa Manolo,
che ci è stato raccomandato dal tassista in modo che ha creato grandi
aspettative, ma non risponde. Chiediamo allora informazioni su El profit, che ci
è stato raccomandato da degli spazzini e confermato da dei muratori. Ma la
signora a cui chiediamo dice che là la cucina è ‘normalita’, invece quella del
ristorante che ci suggerisce lei sì che è speciale – probabilmente sarà gestito
da sua cugina. Ma noi non ci caschiamo – adesso sì che posso usare questo verbo,
adesso che ho i piedi per terra. Troviamo El Profit, prenotiamo per le otto,
perché è a quell’ora che i ristoranti cominciano a servire la cena, incuranti
del fatto che Gianni dice che in Spagna non si cena prima delle nove e mezzo.
Entriamo in un negozio di abbigliamento e articoli da regalo lì vicino, e quando
ci presentiamo al ristorante il gestore ci dice che non ci può prendere tutti e
venti perché ha dei clienti fissi e deve tenere il posto per loro. Ci indica un
altro ristorante e stiamo un bel po’ lì a discutere sul da farsi finchè si fanno
le otto e mezzo e comincio a friggere perché per me si sta facendo troppo tardi,
quindi , siccome il padrone è uscito dicendo che fino a dieci ci può prendere,
entro e poco a poco anche altri mi seguono. Il resto del gruppo va nell’altro
ristorante e solo il fatto che mangeranno bene spendendo meno di noi impedirà
che ci odino per sempre a causa della secessione.
Noi mangeremo benissimo, soprattutto delle porzioni pantagrueliche di
agnello al forno, che per la prima volta in vita mia non riuscirò a finire,
anche perché mi sono ingozzata di salsa all’aglio che assomiglia allo zazichi ma
è ancora più buona. La cena scorre rallegrata dalle battute della Mara – di cui
ricorderò solo che ha ribattezzato Claudio “ Patti patti le manine”. Alla fine
pagheremo 15.50 euro, ma l’altro gruppo 11.50, e sono tutti contenti. Dopo
esserci ricongiunti coi nostri fratelli separati, torniamo in albergo a piedi. A
letto alle 11, stanchi ma felici.
Giovedì 8
Alle otto tutti giù nel
ristorante dell’albergo a fare colazione, perché abbiamo promesso che alle nove
saremo pronti a partire. Andremo a fare una lunga passeggiata, dopo aver
dolorosamente accantonato la proposta di andare a Formentera.
La colazione a buffet è ricchissima e ci diamo molto da fare. Una ragazza
italiana si siede al mio tavolo e ci racconta che ieri è dovuta andare al pronto
soccorso perché le si era bloccata una spalla e, prima ancora di chiederle come
si chiamava, hanno voluto sapere se si era drogata. Ci dice anche che siamo
fortunati col tempo, perché fino a ieri pioveva. Racconta poi che stanotte è
dovuta uscire nel corridoio alle due e mezzo per cercare di sedare una
contrattazione sessuale molto burrascosa. Partenza alle 9.10, incredibilmente in
orario. Andiamo alla ricerca dell’autobus per le saline, che però non riusciamo
a trovare, quindi andremo a piedi. Tutta la zona è modernissima, con grandi
alberghi che adesso sono chiusi ma sono pronti a vomitare valanghe di turisti,
quando arriverà l’alta stagione. Nei giardini, fiori di aloe, molto belli, e
fiori di banano, molto strani. C’è anche una siepe di campanule giganti spesse
qualche centimetro, che non osiamo toccare perché potrebbero benissimo
inghiottirci la mano. Alla spiaggia di Figuerete scendiamo a camminare sulla
sabbia. Raggiungiamo la spiaggia di En Bossa e passiamo davanti a Casa Manolo,
guardiamo i prezzi e vediamo che non sono inaccessibili,però ormai ci è passata
la voglia, dato che possiamo mangiare bene con 11.50 euro.
Il tempo è bellissimo e ce lo godiamo tanto più in quanto sappiamo che in
Italia piove e fa freddo. Sandro dice che ha passato la notte in bianco perché a
ogni minimo rumore trasaliva, pensando che fosse una di noi ragazze che veniva a
trovarlo. Bugiardo, ci aveva tenuto accuratamente nascosto il numero della sua
camera. Ma visto che fa lo spiritoso, adesso gli organizzo i turni per stanotte,
una ragazza ogni ora, così ha il tempo di riposarsi fra una e l’altra.
La spiaggia finisce con una muraglia a cui appoggiamo la schiena
sedendoci un attimo a riposarci e Sandro dice che sembriamo in attesa del
plotone d’esecuzione. Dopo un po’ salutiamo Isa con molto trasporto, cantandole
di scriverci e di non lasciarci in pena. Poi le diamo appuntamento alle saline.
Arrivati alla torre lì vicina Mara e Carla tornano indietro, perché sono un po’
infortunate. Aspettiamo che quelli che sono saliti sulla torre tornino giù, poi
ci incamminiamo verso le saline. Nella campagna ci sono costruzioni molto belle,
alcune in sasso, altre bianche di tipo mediterraneo, e tanti fiori di cui
parecchi a noi sconosciuti.
Arriviamo alla chiesa di S. Francesco, di belle forme eleganti. A
dominare le saline, che si stendono davanti a noi azzurre e scintillanti, una
statua di metallo con grossi buchi qua e là – evidentemente l’artista non
voleva sembrare quello che sa fare solo arte meramente figurativa. Ci piacerebbe
camminare in mezzo alle saline, ma non riusciamo a trovare il sentiero, così
torniamo alla strada asfaltata, dove ci ricongiungiamo con Isa e le altre.
Siccome ha cominciato a farmi male il piede, salgo anch’io in macchina e Isa ci
porta alla spiaggia di El Cavalett, tornando poi indietro a più riprese a
prendere gli altri. Appena arrivati ci svestiamo, chi più chi meno, e quelli più
intelligenti che che se lo sono portato dietro si mettono in costume. Il mare è
di una bellezza esagerata, blu e turchese, e l’acqua è trasparente. Arriva una
grande cagna obesa a cercare cibo, e non se ne va più, con gran dispiacere di
Carla e Mara. Sulla spiaggia lettini , che noi disdegnamo perché non sono
ortopedici e non hanno le doghe, quindi ci stendiamo sulla nuda sabbia. Il bar
lì vicino ostenta ampi divani bianchi che fanno un po’ impressione, lì sulla
sabbia. Ci riposiamo, mangiamo, prendiamo il sole, alcuni si scottano. Patti fa
un acquerello in cui riesce a trasferire tutti i colori del mare e la gioia
che il paesaggio trasmette.
Poi ci incamminiamo sulla spiaggia verso Ses Salinas, una bella fatica con
la sabbia che ti s’aggrappa alle caviglie e se credi che sia più facile
camminare sulla sabbia bagnata il mare aspetta che ti distrai un attimo e poi
arriva all’improvviso e ti inzuppa le scarpe. Qua e là uomini nudi stesi al
sole, che noi oltrepassiamo con gli occhi pudicamente abbassati.
Arriviamo a un’altra torre su un promontorio, poi proseguiamo su una
specie di altipiano coperto di vegetazione mediterranea, con molti fiori a stelo
basso e una gran quantità di rosmarino. Che buon odore d’arrosto!, dice Alba.
E’ tutto un susseguirsi di baie bellissime, alcune singole, altre
matrimoniali, altre per piccoli gruppi, in genere racchiuse da roccette fatte a
guglia arrotondata in cima , che a Titti fanno venire in mente la Terra del
Fuoco e a Sandro invece qualcos’altro, tanto che una la ribattezza “ Baia dei
cazzi”.
Un’ultima baietta riservata a ragazze che se ne stanno nude al sole, poi
arriviamo al bar di Ses Salinas, dove ci aspettano Isa e le altre e dove ci
consoliamo del pranzo quaresimale.
Sono le quattro e mezzo, e l’autobus per Eivissa dovrebbe partire alle
cinque. Sandro va in ricognizione con Isa e dopo faticosa ricerca trovano la
fermata, abilmente nascosta. Ma l’autobus è già partito. Intanto il gruppo
rimasto al bar comincia a sciogliersi come neve in primavera e alla fine
restiamo in quattro. Ci telefonano , ci dicono dove raggiungerli e mentre
arriviamo, ci sfrecciano davanti due o tre taxi in cui questi disgraziati se ne
stanno andando. E per fortuna che sono rimasti Isa e Sandro ad aspettarci. Ci si
avvicina uno che si presenta orgogliosamente come “ tassista abusivo” e
accettiamo di farci accompagnare.
In albergo alle sei. Una doccia e poi subito di nuovo sul cubo.
Alle sette ripartiamo a piedi verso il ristorante, anche Isa, sul cui
ginocchio l’aria di Ibiza ha operato il miracolo così che riesce anche ad
accennare a una corsetta.
Arrivati alla Plaza del Parc ci fermiamo a bere una sangria – buonissima –
poi andiamo al ristorante più economico, dove ci hanno promesso che troveranno
posto per tutti e venti. Quando arriviamo è ancora chiuso, così vagabondiamo nei
negozietti lì attorno. Alle otto e mezzo ci aprono, entriamo e ci suddividiamo
in due tavoli apparecchiati in due sale diverse, una per non fumatori, una per
fumatori. Noi della prima sala ordiniamo pesce, soprattutto seppie e orate – ma
sfortunatamente moltissimi dei piatti che volevamo mangiare sono finiti. Dopo il
secondo ottimi dolci, uno fatto col pane ( di Spagna, naturalmente) e uno è un
cheese- cake alla menta che vogliamo copiare quando saremo a casa e faremo la
cena Ibizana. Mara imperversa con le battute, ma si scusa dicendo che è ubriaca.
Purtroppo non si capisce la differenza con quando è sobria. E adesso mi metto
qui ad aspettare la raccomandata. Alla fine noi spenderemo 12.50 euro, mentre
gli altri solo 11.50 e, dispiace dirlo, nel comunicarcelo Gianni fa il gesto
dell’ombrello. Alle undici e mezzo in albergo, stracciati ma felici.
Venerdì 7
Alle otto scendo a fare colazione e trovo Sandro che sta intortando la ragazza italiana di cui parlavo ieri. Evidentemente le quattro donne che gli spettano in questo viaggio non gli bastano. Stamattina facciamo una colazione più consapevole, perché sappiamo già che cosa prendere e cosa no, è un vero peccato dover partire. Il cielo è grigio, quindi salta il progetto di andare sulla spiaggia ad abbronzarci. Pazienza, vuol dire che partiremo meno malvolentieri. Scopro a mie spese che la macchinetta non sa lo spagnolo, perché spingo il bottone del caffè cortado ed esce il cappuccino, che è cattivo e devo lasciarlo lì. Finito di far colazione Patti sale in camera, e mentre lo aspetto poco a poco tutto il gruppo si disperde in tutte le direzioni possibili. Sandro, Titti e Anna vanno al Mercat Medieval, e questa è la loro relazione:
Il nostro primo incontro è stata una ragazza medievale che trasportava una cassetta di coca-cola. Il cavaliere Sandro si offre di aiutarla, anche per salvarla da sicura caduta visto il peso e la lunghezza della gonna nei cui bordi spesso inciampava. Il mercato era allestito nella piazza della cattedrale. C’erano banchetti di artigiane e artigiani che offrivano i loro manufatti: mantillas, coltellis, sedies, gigantesche e invitanti tortes ( immagino saranno i termini catalani ), scarpette di tela e fibre vegetali (carissime!) tessute con infinita pazienza, ventagli con intarsi ricamati a tombolo. Al centro un banco di salsicce e formaggi. Lungo le strette vie, banchetti dei cibi più vari. Notevole l’ampio forno a cielo aperto con maialino e sanguinacci sfrigolanti. Altro punto suggestivo un angolo di ritrovo arabo con bevande, dolci e spezie di ogni colore e profumo. Sotto i colorati gazebo fanciulle discinte e ammiccanti offrivano ogni varietà di olive di tutte le tonalità del verde e di varie dimensioni, anche gigantesche come noci di cocco ( non sarà un po’ esagerato, dico io ? ) . A terra tappeti turchi.Virando verso l’estremità del bastione Santa Lucia, dopo aver superato un recinto di oche medievali starnazzanti ( Sembrano quelle del Cammina e mangia, dice Sandro ) ci appariva un tipico accampamento medieval-cristiano con armature, vesti, lance , bombarde e sullo sfondo diversi punti di ristoro. Tra nuvole di fumo di braci ardenti si intravvedevano miraggi di arancini. Sembra un angolo di Sicilia, ha detto Sandro avventandosi su uno di essi. In realtà così era: i venditori erano appena sbarcati da Catania via Trapani. Il resto è silenzio.
E invece no, perché voglio raccontare che io e Patti, arrivati in centro ed entrati dalla porta del Cinquecento, ci siamo trovati in uno spiazzo porticato pieno di bancarelle. I venditori avevano braghe larghe a strisce verticali , con l’elastico in fondo; c’erano poi donne che si allacciavano i corpetti con aria piena di sottintesi, e pareva che se li stessero slacciando; e bambini vestiti di tela di sacco che razzolavano in giro. Ci fermiamo indecisi se comprare una cotta di maglia di ferro, ma desistiamo perchè mi va stretta sui fianchi; poi ci inoltriamo per stradine in salita fiancheggiate da case bianche basse con fiori e palme, molto pittoresche. Scendiamo verso Plaza de parc e ci viene incontro una processione coloratissima con uomini sui trampoli, giocolieri e gruppi di musici con strumenti antichi che suonano musica antica pallosissima; una danzatrice che avanza ballando e ammiccando; uno che sembra un pirata e sorregge una cassetta con mani finte ma molto verosimili, mentre la mano vera muove l’ala di un uccellaccio che batte ritmicamente su un tamburo; un gruppetto vestito di nero ( erano turcomanni? ) di cui uno esibiva una sbarretta di ferro che gli attraversava le narici; due pagliacci. Alle undici siamo tutti nella hall dell’albergo. Prendiamo il taxi e andiamo in aeroporto. Mentre ci avviamo verso il gate, ci appare una veduta bellissima delle saline, che se lo sapevamo ci risparmiavamo un sacco di strada a piedi. L’aereo parte in orario e il viaggio passa in un attimo rallegrato dal martellare degli annunci pubblicitari. Atterraggio perfetto con dieci minuti di anticipo e a casa alle tre e mezzo.
Patti ha letto il diario in anteprima e dice che ci sono troppe informazioni che starebbero meglio in una guida e che lo appesantiscono. Nemo profeta in patria.
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